Un tempo c’era la lobby dei cacciatori, che gli assicurava seggi ed elezioni, visto che in Veneto poteva controllare qualche decina di migliaia di voti. Adesso, per tentare di entrare nel Parlamento Europeo per la quinta volta, ha deciso di aprirsi alla rappresentanza dei no vax e di tutto quel popolo che non ha creduto ai vaccini che hanno debellato la pandemia più letale del dopoguerra. In queste scelte Sergio Berlato, nato a Marano Vicentino nel luglio 1969, ci sa fare. Ma probabilmente ci sa fare anche nel conservare le posizioni all’interno di Fratelli d’Italia, che non solo lo hanno candidato, da uscente, per tornare a Bruxelles, ma lo hanno inserito in una posizione di assoluto privilegio. Dopo Giorgia Meloni, capolista in tutte le circoscrizioni, al secondo posto dell’elenco a Nordest c’è Berlato, e non perché l’iniziale del cognome lo avvantaggi. In ordine alfabetico, infatti, sarebbe al quarto posto, dopo Antonella Argenti e prima di Silvia Bolla. Invece è il capolista vero, considerato che la presidente del consiglio, anche se eletta, non lascerà il governo e il Parlamento italiano.

I Fratelli d’Italia, incuranti delle recenti uscite no-vax di Berlato il cacciatore, hanno deciso di puntare su di lui. L’interessato ricambia, non arretrando di un passo, anzi dando al popolo degli scettici anti-sistema una bandiera. Sul proprio sito Facebook ha deciso di postare la “fedina penale perfettamente pulita”, per dimostrare che il certificato del casellario giudiziale è nullo e egli non è un impresentabile. Poi, però, siccome i suoi sostenitori gli chiedono di replicare alle accuse contenute in un servizio de La7 che lo dipingono come un fiancheggiatore dei no-vax, allora è uscito allo scoperto riproducendo il filmato, con un commento laconico: “L’ignoranza si combatte con il silenzio, ma la malafede si combatte con la verità”.

Tanto basta per scatenare i supporter, mai ringalluzziti come ora, dopo le contestazioni ai tempi del Covid. Loretta: “Fiera di essere no vax, anzi no cavia”. Salvatore: “Il CDC (Center for Disease Control, ente federale ufficialissimo) ha pubblicato segnalazioni di oltre 780.000 eventi avversi post-vaccinazione COVID-19”. Floriano: “Conte e Speranza non la devono passare liscia”. Ettore: “Avanti tutta con Berlato, a maggior ragione perché la sinistra comunista e verde lo contesta, quando ha perfettamente ragione su caccia, orsi, lupi e islamizzazione”.

Gli animali non sono una variabile indipendente, visto che dopo aver appoggiato i cacciatori, Berlato si è lanciato contro gli animalisti e chi è contrario all’abbattimento di orsi, lupi, volpi e cinghiali. In questo modo ha appoggiato soprattutto in Veneto le richieste di allevatori e agricoltori, preoccupati per le razzie di bestiame e pollame. I no-vax sono in qualche modo la sua nuova frontiera.

Berlato si è scappellato nei confronti della sua segretaria: “Ringrazio Giorgia Meloni per la rinnovata fiducia che, ancora una volta, ha voluto riservarmi”. Il che gli consente di guardare dall’alto in basso la sua compagna di partito, l’assessore regionale veneta Elena Donazzan, che può dire di non aver mai amato, e che si trova confusa nella pancia della lista. Il giorno dopo l’inserimento al secondo posto, Berlato ha bellamente organizzato e moderato un incontro pubblico dal titolo: “Dopo il grande imbroglio del Covid 19: pretendiamo verità e giustizia”. L’accoppiata di queste due parole è diventata il suo slogan elettorale, che allude a supposte falsificazioni e macchinazioni nate ai tempi del Covid.

Berlato è un uomo che nasce con la lista Caccia Pesca Ambiente all’inizio degli anni Novanta. Ma capisce ben presto che le sue fortune sarebbero state con la Destra, in tutte le sue declinazioni. Nel 1999 diventa eurodeputato al primo colpo. Nel 2004 subentra a Gianfranco Fini nella lista di Alleanza Nazionale. Ci prende gusto e nel 2009 con 58 mila preferenze, seppur intruppato nel Popolo della Libertà, fa il tris in Parlamento Europeo. Manca il poker nel 2014 perché Forza Italia non lo vuole (e lui accusa Berlusconi di svolta animalista). Il salto della quaglia con Fratelli d’Italia, ancora un partito-bonsai, non gli permette la rielezione. Non è un personaggio che si arrende. Nel 2015 viene eletto consigliere regionale per la lista Fratelli d’Italia-An. È probabilmente uno dei pochi che intuisce il futuro di potere di Giorgia Meloni. Nel 2019 lascia Venezia e si candida per Bruxelles. Stavolta ce la fa e le sue 19 mila preferenze, il risultato migliore della destra a Nordest dopo la segretaria, gli valgono l’eterna condiscendenza della leader, che anche questa volta lo ha voluto dopo di sé.

Sulla testa di Berlato le nuvole politiche si sono addensate periodicamente. Dapprima perché a Bruxelles aveva come assistente la propria moglie. Poi, nel 2011, all’epoca del Pdl, 28 cittadini si trovarono iscritti con tessera al partito, a loro insaputa. Erano tutti cacciatori. Berlato venne imputato e processato per falso in scrittura privata e violazione della privacy. Nel 2018 l’assoluzione, ma non perché l’accusa fosse un’invenzione, bensì perché il falso era stato depenalizzato, mentre il secondo reato non era contemplato come tale in base alle direttive europee. Fece rumore, nel 2022, la lettera inviata ai cacciatori con cui sponsorizzava il proprio genero per le regionali: “Ha sposato mia figlia, quindi è affidabile”. Parentopoli ante litteram, non andata a buon fine, visto che il rampollo acquisito non fu eletto.

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