Una cabina di regia fra i ministeri coinvolti che definisca un piano di sicurezza idrica, un commissario straordinario che gestisca l’emergenza siccità e metta in pratica il piano del governo, sbloccando interventi ostacolati dalla burocrazia e una campagna che sensibilizzi l’opinione pubblica sull’uso responsabile dell’acqua. A far partire il tutto dovrebbe essere un decreto legge da approvare prima possibile, ma al primo Tavolo sulla sicurezza idrica che si è svolto a Palazzo Chigi non è stata decisa una data. E neppure i conti delle risorse a disposizione tornano, anche se il ministero delle Infrastrutture si è già detto disposto a dare “un contributo significato per la gestione del dossier, anche con l’assunzione di responsabilità dirette”. La cabina di regia è un buon inizio, tra gli altri, per Confagricoltura e Anbi, ma per la Fai-Cisl senza parti sociali rischia di rimanere “una scatola vuota”, mentre Copagri chiede di coinvolgere i settori produttivi.

La critica più dura dal co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli: “La cabina di regia convocata dalla presidente Meloni con un esercito di ministri ha partorito il nulla”, se non l’intenzione “di nominare un commissario straordinario tra i tanti commissari di cui già l’Italia dispone”. Il tempo rema contro. E mentre in Italia si apre un dossier, in Francia (dopo oltre 30 giorni senza piogge in pieno inverno) il ministro per la Transizione ecologica Christophe Béchu ha già chiesto ai prefetti di emanare ordinanze di restrizione idrica per anticipare possibili situazioni di crisi durante l’estate. Anche in Catalogna (Spagna) vengono presi i primi provvedimenti. In Italia, per passare dalle parole ai fatti servono investimenti. Lo ricorda la Società italiana di medicina ambientale (Sima): l’Italia investe oggi sulla rete idrica oltre il 50% in meno rispetto alla media europea, perché se i paesi Ue destinano alla manutenzione e depurazione delle acque, in media circa 100 euro a cittadino, in Italia si scende a circa 48 euro ad abitante.

Dalle parole ai fatti, il nodo investimenti – Secondo la Sima per colmare il gap degli investimenti sul ‘Sistema Acqua’ servirebbero in Italia 12 miliardi di euro entro il 2030, oltre a 6 miliardi all’anno solo per la depurazione e la manutenzione della rete idrica. “Numeri che – spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente Alessandro Miani – si scontrano con i fondi previsti dal Pnrr”. E di numeri si è parlato anche al Tavolo sulla sicurezza idrica, al quale hanno partecipato anche i ministri Pichetto Fratin (Ambiente), Matteo Salvini (Infrastrutture), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Raffaele Fitto (Pnrr), Roberto Calderoli (Affari regionali), Nello Musumeci (Protezione civile). Proprio quest’ultimo ha ricordato nei giorni scorsi che nel Pnrr ci sono oltre 4 miliardi per il sistema acqua, compresi gli 880 milioni di euro per il potenziamento e l’ammodernamento del sistema irriguo nel settore agricolo, 2 miliardi per nuove infrastrutture idriche primarie (come gli invasi) e 900 milioni per riparare, digitalizzare e monitorare le reti idriche (con progetti che partiranno non prima del 2026).

Il punto è che finora sono stati impegnati solo 300 milioni, così come su 1,2 miliardi della programmazione europea 2014-2020 sono stati utilizzati appena 200 milioni, a causa della difficoltà di Regione ed enti locali di progettare e spendere. Come si evince, anche se fossero tutti impiegati, i conti non tornano rispetto ai bisogni. La federazione delle imprese dei servizi pubblici, Utilitalia, ha spiegato che le aziende italiane del settore idrico sono pronte a mettere in campo investimenti per 11 miliardi di euro nei prossimi 3 anni. Il primo passo, però, non può che essere quello di spendere ciò che già è stato stanziato. Anche perché, come ha ricordato lo stesso ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, ci sono quasi 8 miliardi “che sono lì” da qualche anno con l’impossibilità di essere spesi, per ragioni burocratiche e normative”.

Dalle perdite di acqua al nodo burocratico – E invece ce ne sarebbe bisogno (di questi e altri) dato che gli acquedotti perdono, in media, il 40% dell’acqua (al Sud si arriva al 60%), mentre gli invasi raccolgono solo l’11% dell’acqua piovana (in Spagna è il 36%) e appena il 5% delle acque di depurazione viene usato in agricoltura e industria. Come spiega il presidente della Sima “uno dei principali problemi che attanaglia il nostro sistema idrico è la presenza di un elevato numero di operatori che gestiscono la distribuzione dell’acqua”. Se ne contano in Italia oltre 700, ma la risorsa acqua è gestita in molti casi da piccole municipali, che non hanno fondi per gli investimenti. “Una eccessiva frammentazione che appesantisce il processo burocratico complessivo – spiega Miani – e porta ad allontanare investimenti privati, oggi più che mai necessari per modernizzare la rete”. La cabina di regia dovrebbe, appunto, mettere giù un piano con una serie di interventi per eliminare le perdite, ridurre sprechi e consumi (in Italia quello pro capite di acqua potabile si attesta sui 215 litri per abitante al giorno, rispetto ai 125 litri della media europea), realizzare invasi e collegare i bacini per poter spostare l’acqua a seconda delle necessità. Ma anche utilizzare le acque depurate in agricoltura e industria, migliorare il monitoraggio della rete e il coordinamento fra le autorità di gestione e semplificare le procedure per velocizzare gli interventi.

La cabina di regia, il commissario e il caso ‘Trentino’ – Condivide le conclusioni a cui si è giunti durante il tavolo anche l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi). “Mettiamo subito a disposizione i progetti esecutivi e definitivi del Piano Laghetti proposto con Coldiretti per aumentare la capacità di riserva idrica del Paese che ha fame d’acqua”, ha commentato il direttore generale, Massimo Gargano. Anche Confagricoltura ha accolto bene l’intenzione di istituire una cabina di regia, ritenendo “indispensabile che la task-force di Palazzo Chigi ascolti i territori e le rappresentanze imprenditoriali”. Ma già si pensa alla piena emergenza “anche con il coinvolgimento dei bacini idroelettrici per sostenere le forniture di acqua nelle fasi più acute della siccità”. E il nodo della cessione dell’acqua è molto sentito, in particolare in alcune aree del Paese. Emblematiche le parole del vicepresidente della Provincia autonoma di Trento, Mario Tonina, rispetto al piano e al commissariamento: “Se hanno deciso questo, non è certo il Trentino che si opporrà ma, come ho ribadito, di acqua non ce n’è nemmeno per noi, quindi la vedo dura pensare di obbligarci a cedere acqua ad altri”. E ricorda lo scorso anno: “Di fronte a una crisi eccezionale, abbiamo ceduto acqua anche se non eravamo obbligati a farlo”. Quest’anno la situazione si sta dimostrando più critica rispetto al 2022. “In questo momento c’è pochissima neve sulle cime e, anche con il disgelo, di acqua ne arriverà poca. Una parte di acqua presente nei bacini deve rimanere sempre”.

In Francia e Spagna scattano i primi divieti – Nel frattempo, in Europa c’è chi già sta correndo concretamente ai ripari. La siccità colpisce, in modo particolare, anche Francia e Spagna, Germania meridionale e Grecia. In Francia, nonostante le piogge degli ultimi giorni, il ministro per la Transizione ecologica Christophe Béchu ha invitato i prefetti a non indugiare rispetto a eventuali decreti di restrizione idrica per evitare che si ripresenti la situazione dell’estate scorsa con “700 comuni interessati da problemi di acqua potabile”. Anche in Catalogna sono state approvate nuove misure riguardanti agricoltura, industria, irrigazione di zone verdi e usi ludici. Le attività agricole dovranno ridurre del 40% il consumo di acqua. Provvedimenti che, come spiegato dall’assessore regionale all’Azione Climatica, Teresa Jordà, riguarderanno un’area abitata da 6 milioni di persone.

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