Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“A volte con Marcell ci guardiamo e ci diciamo: chissà Gianca quanto sarebbe stato fiero di tutto questo. Purtroppo il povero Giancarlo Medesani, il mio maestro, non ha fatto in tempo a vedere cosa ha vinto Jacobs perché da cinque anni non c’è più”. Paolo Camossi è l’allenatore della doppia medaglia d’oro olimpica Marcell Jacobs. Classe 1974, prima di collaborare con la Federazione è stato un atleta capace di diventare per sette volte campione nazionale nel salto triplo e della stessa disciplina campione del mondo indoor nel 2001 con 17,32 metri, che allora era record italiano. “Medesani ha saputo tirare fuori il meglio di me. Un tempo si pensava che per saltare bastasse solo il balzo. Invece lui è stato un tecnico innovativo, che ha dato importanza alla velocità, non solo alla tecnica. La mia salvezza sportiva è stata incontrare nella mia strada una persona come lui, diversamente in Italia erano tutti della vecchia scuola dell’est”.

Ha imparato anche da altri?
“Da atleta pensavo soprattutto a saltare, ma sono sempre stato un animale curioso e allora guardavo anche chi gareggiava accanto a me, quelli che consideravo idoli e invece poi mi accorgevo essere delle persone vere. Jonathan Edwards mi ha insegnato tanto con il suo esempio. Per lui l’atletica era un lavoro ma fuori dalla pista era amichevole, generalmente all’estero vivono un ambiente più sereno del nostro. In Italia in ogni gara devi dimostrare sempre che vali”.

Non è così?
“No, tu devi sapere in ogni caso che vali, come lo sa il tuo staff”.

È questo che ha trasmesso a Jacobs?
“Penso di sì, anche se da allenatore non devi mai pensare con la testa che avevi da atleta”.

La prima cosa che ha fatto con lui?
“Capire chi è Marcell e poi trasmettergli le esperienze di altri atleti di successo. Io per esempio saltavo di rabbia, ma non funziona così, infatti Marcell corre col sentimento buono. Nella maggioranza degli atleti vedi facce cattive. Questo me lo disse proprio Edwards, lui saltava con amore e alla domenica non gareggiava perché era il giorno del signore. Marcell mi ha confermato quello che sosteneva l’atleta inglese”.

Gli ha instillato lei l’amore per l’atletica?
“Ce l’aveva già, non è servito. È nato con un sogno, come tutti gli atleti, quello delle Olimpiadi”.

Con lui è andata bene sin da subito?
“Ci siamo trovati bene perché entrambi per spirito non ci accontentiamo. Io già collaboravo con il settore salti della federazione. Dopo un grosso infortunio ci siamo trovati in un centro di riabilitazione a Pavia nel 2015. Paolo, mi alleni? Ho detto sì, senza pensarci un attimo. È stato Elio Locatelli, altro mio mentore, a dirmi che nella carriera di un allenatore spesso non si ha la fortuna di incontrare un campione. Insomma, Marcell ti capita una volta nella vita e ti ci butti a capofitti. Però se sbagli, fai molto rumore”.

Come è stato il passaggio definitivo alla velocità?
“Ha saltato fino al 2019, ma aveva sempre problemi alle ginocchia. Era difficile pensare di fare la storia con i salti. Dopo una gara agli Europei di Glasgow nella quale fece salti lunghi ma nulli, abbiamo deciso. Ci concentriamo sulla velocità!”

E poi?
“Marcell fa 10.02, poi due volte 10.07. Ovvio che l’appetito vien mangiando. L’obiettivo diventò scendere sotto i dieci secondi e poi via via sempre meglio”.

Recentemente Jacobs ha fatto un post su Instagram in cui sembrava ipotizzare un ritorno alla vecchia disciplina.
“Eravamo insieme quando l’ha fatto e abbiamo sorriso. Mai dire mai nello sport, però in questo momento l’obiettivo è quello di correre molto molto forte alle Olimpiadi di Parigi. Poi magari farà anche due salti, chissà…”

I problemi fisici per Jacobs non sembrano svaniti del tutto.
“Dovuti al salto in lungo, ma non sono limitativi per i 100 metri. Anche oggi con certi lavori bisogna stare attenti per via delle ginocchia”.

Come sono stati quei giorni incredibili di Tokyo?
“Sono stati giorni sereni, avevamo fatto tutto quello che si poteva fare. Pensavo andasse meglio la crescita prima di Tokyo, eppure in Giappone ogni giorno eravamo più convinti. Siamo arrivati con l’idea di fare la finale e sfruttare magari gli errori altrui per vincere una medaglia. Ma l’obiettivo diventava sempre più grande visto come cresceva il campione Marcell dal punto di vista umano. Prima della finale, dopo la falsa partenza dell’inglese ho detto allo staff: preparatevi che sta facendo l’impresa. Marcell sembrava nel giardino di casa sua, con il sorriso sulla bocca”.

La seconda medaglia con la staffetta 4×100?
“Nemmeno nei sogni”.

Come il gol del secolo di Maradona ha avuto la telecronaca adeguata di Victor Hugo Morales, possiamo dire che Jacobs ha avuto il racconto perfetto con Franco Bragagna?
“Ha raggiunto l’apice anche lui, non potrà mai più raccontare una cosa così. Gliel’ho detto subito anche a lui. La sua voce ha commosso me e tutti gli italiani”.

Cerca su Youtube quel video?
“Non di proposito, ma se mi capita perché sto studiando qualcosa dal punto di vista tecnico, allora mi fermo un attimo ed è ancora un’emozione”.

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