Quindici celle più due di isolamento, per un totale di circa quaranta posti letto e cinque miliardi delle vecchie lire spesi. Il carcere di Veneri, frazione di Pescia (provincia di Pistoia) è stato costruito nel 1986, quando presidente del consiglio era ancora Bettino Craxi e ministro di Grazia e Giustizia, il democristiano Fermo Mino Martinazzoli. Ma non è mai stato aperto. Anzi, no. È stato aperto due volte per diventare, però, un set cinematografico: nel 2004, per “Amanti e segreti”, miniserie televisiva di Gianni Lepre e nel 2006 per il film esordio di Alessandro Angelini, “L’aria salata”. Per il resto, è inutilizzato da ventinove anni. Una struttura di 1500 metri quadrati (2500 se si considera anche l’aria all’aperto) inghiottita adesso dal degrado. Vuoto, a parte qualche scartoffia del Comune e dei motorini ritirati dalla polizia municipale. Nonostante le carceri italiane scoppino di detenuti.

Il calvario della struttura sembra iniziare con una modifica del codice penale. Era stato infatti costruito come carcere (o casa) mandamentale, ossia dove, ai tempi delle preture, erano detenute le persone in attesa di giudizio per reati lievi oppure condannate a pene fino a un anno. Un carcere piccolo, ma considerato quasi di massima sicurezza, con la struttura principale in cemento armato e doppio muro di cinta. Diciassette celle, la cucina, la sala colloqui e due cortili per le ore d’aria. Accanto sorge una palazzina di dodici vani, che era destinata agli uffici, all’alloggio del direttore, all’infermeria. Tutto costruito in un’area agricola, non senza il disappunto della popolazione di Pescia che aveva già dovuto digerire la costruzione di un depuratore nella stessa zona. Era tutto pronto quindi, tanto che fu anche indetto il bando nazionale per l’assunzione di dodici secondini. Ma nel 1989 le leggi cambiano: le preture mandamentali vengono soppresse e quel carcere rimane improvvisamente senza identità.

Con un semplice decreto ministeriale sarebbe potuto diventare un altro carcere, ma il Ministero di Grazia e Giustizia, dopo qualche anno di tentennamento, opta per cederlo al Comune. Ché però non sa cosa farne. La fantasia non è certo mancata: da un ostello della gioventù alla sede provinciale della Protezione civile, passando per un canile con clinica veterinaria. Certo è che, come spiega a ilfattoquotidiano.it l’attuale sindaco di Pescia, Oreste Giurlani del Pd (nominato a giugno 2014) “quella struttura rimane un carcere a tutti gli effetti e non è facile metterci mano. Muro in cemento armato, sbarre, portoni in ferro. Per renderlo accogliente bisognerebbe buttarlo giù e ricostruirlo. Ma ricordiamo che il Comune di Pescia, fino allo scorso anno, rischiava il fallimento e non ha certo i fondi per farlo”. A fine anni ’90 il sindaco socialista Renzo Giuntoli pensò di farci un centro sociale rivolto all’infanzia, agli adolescenti, ai giovani e alle famiglie. Ristrutturò quindi la palazzina chiedendo un finanziamento alla Regione Toscana. Ma di centri sociali nemmeno l’ombra. “Chi avrebbe mandato il figlio a passare il pomeriggio in un carcere?”, fa notare il sindaco. E vai ancora, quindi, soldi pubblici gettati nel nulla: circa trecento milioni delle vecchie lire, quelli che adesso sarebbero, rivalutati, 300mila euro. “Chiederò un incontro al sottosegretario di stato alla giustizia, Cosimo Ferri – chiarisce il sindaco – per capire se questa struttura possa tornare, o meglio diventare, un carcere. È sicuramente più utile come istituto penitenziario”.

Ma perché, appunto, non è stato trasformato in carcere penitenziario? Il provveditore della Toscana, Carmelo Cantone, contattato da ilfattoquotidiano.it sostiene che non fosse conveniente. “Non risponde alle esigenze del sistema penitenziario – dice – perché è piccolo, decentrato e costoso. Inoltre la logica è la territorializzazione della pena e in quel Comune non c’è criminalità. A un calcolo costi-benefici quindi risultava sconveniente per l’amministrazione penitenziaria”. Eppure non la pensa così la Corte dei Conti che nel 2010 fece presente che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”.

Adesso quindi, dicevamo, quella struttura è diventata un deposito-discarica del Comune, con vecchi computer e archivi ammassati nelle stanze e motorini rinchiusi nelle celle. Più il tempo passa e più diventa fatiscente, con infiltrazioni ovunque, odore di muffa, portoni in ferro arrugginiti. Un vero esempio dello spreco all’italiana. E non è l’unico carcere nel Belpaese ad aver fatto questa fine. Negli anni ’80 infatti furono costruite oltre cento case mandamentali. Alcune di queste furono assorbite dall’amministrazione penitenziaria, come quella di Massa Marittima (Grosseto), dove è sorto un carcere di quaranta posti per detenuti condannati o quella di Empoli (Firenze), dove invece è nato un carcere femminile di altrettanti posti. Altre sono state cedute alle amministrazioni comunali e utilizzate nei modi più disparati. A Cropani, ad esempio, in provincia di Catanzaro, è diventata un deposito per la raccolta differenziata e un archivio del Comune. A Monopoli, invece, in provincia di Bari, è diventata la dimora dei senzatetto.

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