Anders Behring Breivik è sano di mente e sconterà la pena massima di 21 anni di prigione prorogabili nel caso in cui sarà ritenuto ancora pericoloso: lo ha deciso il tribunale di prima istanza di Oslo nella sua sentenza contro il killer che il 31 luglio 2011 ha ucciso 77 persone. Breivik aveva detto che in caso fosse stato riconosciuto sano di mente, non avrebbe fatto ricorso. Se fosse stato dichiarato ‘schizofrenico paranoide’, come chiedeva la procura, sarebbe stato internato a vita.  Al termine della lettura delle motivazioni del verdetto della Corte il killer ha ripetuto il saluto nazista e ha chiesto “perdono ai militanti nazionalisti per non aver ucciso più persone”. Parole interrotte bruscamente dal giudice Wenche Elizabeth Arntzen, visibilmente irritata. Soddisfatti i parenti delle vittime che hanno ascoltato in silenzio il verdetto: “Finisce finalmente un incubo”. L’avvocato del killer ha fatto sapere che Breivik non ricorrerà in appello. 

La condanna a 21 anni di prigione per Breivik potrà essere prolungata nel caso in cui venga riconosciuto pericoloso per la società. Il tribunale di Oslo ha preso all’unanimità la decisione sulla sua sanità mentale e sulla condanna. Breivik, vestito nero, camicia bianca e cravatta grigia, ha ascoltato il verdetto sorridendo dopo aver fatto il saluto di estrema destra con il pugno chiuso appena entrato in aula.

La sentenza ha di fatto recepito gli umori popolari. Da un sondaggio pubblicato poche ore prima del verdetto dal quotidiano Verdens Gang, emerge che il 72 per cento dei norvegesi voleva che fosse riconosciuta la sanità di mente del killer anche se in caso contrario poteva essere internato a vita in una struttura psichiatrica.

Breivik, estremista 33enne, sconvolse la Norvegia con due attentati che uccisero otto persone nel centro di Oslo e 69 nel campo estivo dei giovani laburisti a Utoya, un’isoletta a una trentina di chilometri a ovest della capitale. Aveva pianificato tutto con estrema cura, aveva acquistato i componenti per costruire l’ordigno da far deflagrare nel cuore del Regieringskvartalet, il ‘quartiere del governo’ a poche centinaia di metri dal Parlamento. E li aveva assemblati in una fattoria in mezzo alla campagna affittata solo tre mesi prima, il 17 aprile. Un attentato di ‘depistaggio’ che doveva servire (e così è stato) ad attirare gli uomini dell’antiterrorismo e i soldati dell’esercito nel cuore della capitale norvegese, senza prestare attenzione a quell’uomo vestito da poliziotto che si dirigeva verso Utoya, dove 650 giovani attivisti del Partito laburista erano riuniti per il tradizionale appuntamento estivo per una vacanza di formazione.

La bomba di Oslo è esplosa alle 15.26: otto i morti (sette subito, uno dopo alcuni giorni in ospedale), numerosi i feriti. Mentre si rafforzavano le misure di sicurezza in tutti i luoghi del potere e i membri della famiglia reale venivano portati al sicuro, Breivik si stava già dirigendo verso Utoya. Quando è arrivato, poco meno di tre ore dopo l’esplosione a Oslo, ha subito eliminato l’unico agente armato che c’era sull’isolotto. Poi ha sparato per oltre un’ora e mezza contro ragazze e ragazzi indifesi, che tentavano di nascondersi o fuggire buttandosi in mare, o rimanevano pietrificati a implorare pietà di fronte a qualcosa che non potevano capire. Le vittime alla fine sono state 69, i feriti oltre 150.

L’assassino si è arreso alla polizia senza opporre resistenza quando si è reso conto di non avere più vie d’uscita. Ma dal suo primo sparo era passata un’ora e mezza e i dodici ettari di abeti e betulle erano ormai trasformati in un inferno disseminato di cadaveri.

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