Marco Milanese aveva uno“strapotere” sulla Guardia di Finanza grazie ad una “delega esclusiva” ottenuta dal ministro Giulio Tremonti, che in sostanza gli consentiva di decidere su tutto ciò che riguardava il Corpo, nomine e trasferimenti compresi. L’ex comandante della Gdf Cosimo D’Arrigo conferma ai magistrati napoletani il “peso” del parlamentare del Pdl ed ex consigliere del titolare dell’Economia sulle Fiamme Gialle. Il verbale del generale è stato inviato oggi dal pm Vincenzo Piscitelli alla Giunta della Camera che a partire da domani valuterà la richiesta d’arresto emessa dalla magistratura di Napoli, secondo la quale Milanese utilizzava il proprio “potere” per ottenere notizie riservate sulle indagini, comprese quelle che lo riguardavano direttamente. E sono parole pesanti quelle dell’ex comandante. Il fatto che Milanese avesse l’esclusiva sulle Fiamme Gialle, sostiene infatti D’Arrigo, creò non solo “qualche problema di ordine pratico” ma anche “un complessivo rallentamento” dell’attività, anche funzionale, del corpo. Inoltre, fatto non di poco conto, secondo D’Arrigo il potere di Milanese si manifestava anche in occasione di nomine e trasferimenti, con i vertici della Gdf che venivano sostanzialmente bypassati. Parole già smentite dal deputato del Pdl che in una memoria consegnata proprio alla Giunta a luglio scorso ha sostenuto di non esser mai stato il “deus ex machina” delle nomine. Così come ha escluso “nella maniera più assoluta” di aver favorito alcuni imprenditori nell’acquisizione di appalti pubblici. E domani lo ripeterà ai colleghi, ai quali ha chiesto di essere ascoltato.

Al Parlamento i magistrati napoletani hanno anche inviato l’elenco delle visite effettuate da Milanese alle 4 cassette di sicurezza (due a Milano e due a Roma) nell’ultimo anno: si tratterebbe – secondo quanto si è appreso – di tre, quattro visite al mese che, secondo l’ipotesi della procura, potrebbero essere servite per svuotarle. Solo a Milano, nel periodo precedente alla richiesta d’arresto, l’ex consulente di Tremonti visitò le cassette 17 volte. Quando, ad agosto, furono ufficialmente aperte, all’interno furono trovati alcuni orologi di valore, un braccialetto della figlia e un certificato di garanzia di una fedina di brillantini. Alla Camera è arrivato anche il prospetto del consulente tecnico del pm sugli emolumenti complessivi percepiti dal parlamentare del Pdl per i diversi incarichi a lui affidati dal 2006 al 2011: si tratta di un milione e 368mila euro. Cifre vicine a quelle contenute nel parere tecnico realizzato dal consulente tecnico del parlamentare – il commercialista Stefano Vignone – e che sarà consegnato alla giunta. Nella relazione si sostiene infatti che tra disinvestimenti e redditi da lavoro si arriva a circa 4 milioni di euro, cifra “perfettamente compatibile – secondo il consulente – con le spese straordinarie e gli investimenti effettuati da Milanese dal 2005 al 2010”. La documentazione, prosegue Vignone – consente di dimostrare in maniera chiara, la legittima provenienza delle somme spese e/o investite, che porta ad escludere l’utilizzo di denaro contante per l’effettuazione delle stesse”.

Per effettuare le spese e gli investimenti, inoltre, Milanese ha “dovuto più volte fare ricorso all’indebitamento bancario sia sotto forma di mutuo che di scoperto di conto corrente, dovendo inoltre, nel 2010-2011, smobilizzare un investimento in titoli di circa 510mila euro”. Circostanza, conclude il consulente, “stride di fatto con l’ipotesi accusatoria secondo la quale Milanese avrebbe posseduto una somma di denaro contanti pari ad un milione e 200mila euro, frutto della corruzione”. Dalla relazione del consulente di parte emerge però un altro particolare: la casa di via di Campo Marzio a Roma affittata da Milanese e utilizzata da Tremonti – gratis, secondo i pm – aveva un canone di locazione che dagli iniziali 8.600 euro era lievitato a 9.200 euro. Il titolare dell’Economia ha confermato quanto detto da Milanese e cioè che per quell’abitazione dava un contributo di mille euro a settimana, in contanti.

Nel frattempo, alla vigilia della riunione della Giunta per le autorizzazioni Marco Milanese trova il colpo a sorpresa: una denuncia nei confronti di Paolo Viscione, l’imprenditore che lo ha accusato raccontando ai giudici di Napoli di avergli fatto una serie di regali in cambio di favori. La mossa rende evidente la strategia dell’ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti: la richiesta alla Procura di Roma di accertare la fondatezza delle accuse, infatti, mette i membri della Giunta di fronte alla necessità di compiere una scelta netta tra Milanese e Viscione. Come se il deputato dicesse ai suoi giudicì in Parlamento: non c’è alcuna prova contro di me, a questo punto dovete scegliere se credere a me o a chi mi accusa. Ed è su questo che puntano anche i suoi difensorì tra le file del Pdl.

“Come è possibile accusare una persona soltanto sulla base di dichiarazioni di una altra persona?”, si chiede più di qualche parlamentare. Ma Milanese deve guardarsi dalla presenza di qualche franco tiratore all’interno del suo stesso partito. Nel Pdl non mancano i mal di pancia e non pochi sono coloro che sarebbero pronti a colpire Milanese per mettere in difficoltà il ministro Tremonti. Lui, Milanese, in giro per i corridoi di Montecitorio, non rilascia dichiarazioni ma mostra sicurezza. L’atmosfera è diversa rispetto a quella dello scorso luglio quando la Giunta diede il via libera al voto in Aula su Alfonso Papa che poi determinò l’arresto dell’ex magistrato. In quel caso fu determinante il voto della Lega Nord che, di fatto, permise l’arresto di Papa. Il Carroccio anche in questa occasione appare diviso al suo interno. La corrente legata al ministro Roberto Maroni sarebbe pronta in Aula a votare a favore della richiesta della procura di Napoli. Garantisti, invece, i legisti del “cerchio magico”, vicini a Umberto Bossi, che temono una operazione politica per colpire Tremonti e mettere in serissime difficoltà l’intero esecutivo. Sulla questione, al momento, Bossi non si è espresso: in queste occasioni il senatur scioglie le riserve soltanto all’ultimo momento. Ovvio che se Bossi dovesse ‘affossarè l’uomo di Tremonti, gli equilibri di governo ne risentirebbero. Allo stesso tempo, la Lega deve dar conto al suo elettorato stufo delle manovra di palazzo romane. I vertici lumbard si troverebbero nell’imbarazzo di dover spiegare alla propria base il perchè di un cambiamento di posizione rispetto al caso Papa, specie in un momento in cui nel Paese cresce l’insofferenza nei confronti della classe politica, con la ‘castà messa sempre più sotto accusa. Insomma, sul caso Milanese sembra giocarsi una doppia partita. La prima all’interno dei ‘lumbard’che vede contrapposte le sue principali correnti, in attesa del ‘responsò di Bossi; e una seconda nell’esecutivo, che ha come posta in gioco il futuro di Tremonti. A favore di Milanese potrebbe giocare la simultaneità del voto sul suo arresto con quello sulla manovra: una coincidenza che potrebbe spingere l’Aula ad evitare scossoni in un momento così delicato per il Paese ed indirettamente aiutare il deputato del Pdl. Il voto della Giunta su Milanese arriverà questa settimana, poi, la prossima, sarà l’Aula a pronunciarsi . In Giunta, nel frattempo, sono arrivati nuovi atti sull’inchiesta: alcuni erano stati richiesti dalla difesa in merito a Viscione; ma il piatto più succoso è rappresentato dagli atti del pm di Napoli con una consulenza sui redditi e il tenore di vita di Milanese ed una relazione sul contenuto delle cassette di sicurezza del deputato.

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