Sei arresti anche in Emilia Romagna nell’ambito dell’operazione “Artù” (nome che deriva da un passaggio di un’intercettazione telefonica ascoltato dagli inquirenti), indagine della Dda di Reggio Calabria condotta dalla guardia di finanza di Locri e dal nucleo speciale di polizia valutaria delle fiamme gialle di Palermo. In tutto sono state 20 le persone raggiunte da un provvedimento restrittivo (19 in carcere e una, modenese, ai domiciliari). Duecento militari che hanno operato nelle province di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Trapani, Catanzaro, Palermo, Verona, Cosenza e Reggio Calabria e che hanno condotto anche 40 perquisizioni domiciliari per bloccare un’attività di riciclaggio di denaro gestita da ‘ndrangheta e cosa nostra.

Le accuse per tutti sono di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla truffa e alla falsificazione di titoli di credito. Nello specifico, al centro dell’indagine ci sarebbe un certificato di deposito in oro del valore nominale di 870 milioni di dollari. Sequestrato il 29 settembre 2009 a due uomini di Taurianova ritenuti vicini alla cosca Fazzalari-Viola-Avignone, il certificato era stato emesso nel 1961 dal Credito Svizzero al dittatore indonesiano Soekarno, al secolo Kusno Sosrodihardjo, padre del faccendiere che negli anni Novanta aveva tentato di comprarsi l’inglese Lotus e l’italiana Bugatti.

Particolari flokloristici a parte, il problema dei malavitosi era quello di monetizzare il titolo e, per farlo, si sarebbero avvalsi di professionisti incensurati inseriti in alcuni istituti di credito, come Monte dei Paschi, Banco di Sicilia, Unicredit, Ing Direct fino allo Ior, la banca vaticana. Per giustificare il possesso di un certificato di quel valore, gli arrestati ne avrebbero poi contraffatto la provenienza riconducendola a un vescovo, monsignor Domenico Ferrazzo, morto nel 2003 e sepolto in provincia di Vibo Valentia, che a sua volta lo aveva ricevuto da  Soekarno dopo averlo salvato da una rivolta che aveva sconquassato l’Indonesia negli anni Sessanta.

L’ordinanza di custodia cautelare – firmata dal gip di Reggio Calabria Silvana Grasso su richiesta di Giuseppe Pignatone, procuratore distrettuale antimafia, dell’aggiunto Nicola Gratteri e del pubblico ministero Sara Ombra – pone l’accento sull’autenticità del titolo ed evidenzia che gli arrestati, per liquidarlo, avevano artefatto anche un decreto di dissequestro che riportava la firma (falsa) di un pubblico ministero di Palmi.

Se i domiciliari sono stati concessi solo a Daniela Rozzi, 42 anni, di Modena, in carcere è finita un’ulteriore persona originaria della città emiliana. Si tratta di Paolo Baccarini, 44, ritenuto uno degli organizzatori del giro. Gli altri, invece, sono nati tra la Calabria e la Sicilia. Per quanto riguarda la Calabria, sono stati arrestati Vincenzo Andronaco, 38 anni, Rocco Arena, 41, Vincenzo Dattilo, 55, Michele Fidale, 50, Francesco e Rocco Santo Filippone, 31 e 71, Antonino Galasso, 59, Nicola Galati, 53, Francesco Grupico, 44, Antonino Napoli, 57, Alessio Vincenzo Rovitti, 37, Carmelo Sposato, 37, Giuseppe Sposato, 46, Antonio Surace, 34, e Rocco Ursino, 51. Tra i siciliani, invece compaiono i trapanesi Andrea e Salvatore Angelo, 34 anni e 62 anni, oltre al palermitano Antonio Drago, 54 anni.

Nomi, questi, che conducono – secondo gli investigatori – alle cosche ‘ndranghetiste Longo-Versace di Polistena, Facchineri di Cittanova, Filippone-Bianchino-Petullà di Cinquefrondi, Aquino di Gioiosa Jonica. Sul versante di cosa nostra, invece si individua la “famiglia” Miceli di Salemi il cui capo, Salvatore, arrestato poco tempo fa a Caracas (Venezuela), sarebbe vicino al boss Matteo Messina Denaro.

Antonella Beccaria e Matteo Incerti

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