Ci ha provato ma gli è andata male, anzi malissimo. Il tentativo di Paolo Romani, ministro per lo Sviluppo economico, di escludere Sky dal digitale terrestre si è concluso con un nulla di fatto. E ora, con buona pace di Mediaset, l’arrivo della televisione di Tom Mockridge sul digitale terrestre è sempre più vicino. Il Consiglio di Stato ha infatti bollato come “manipolativo” il tentativo di Romani di cambiare le regole del gioco nella gara per l’assegnazione del dividendo digitale: il pacchetto di nuove frequenze generate dal passaggio della televisione dalla tecnologia analogica al nuovo modello di trasmissione.

Ora tutto quello che il “ministro delle televisioni di B.” può fare è inviare al commissario europeo per la Concorrenza Joaquin Almunia il bando di gara. Ed è meglio che si sbrighi, altrimenti l’Italia si troverà a dover pagare qualche centinaio di milioni di euro per la procedura d’infrazione che la Commissione europea ha aperto sulla legge Gasparri, evitabile solo allargando il mercato televisivo e cioè, ancora una volta, superando il duopolio Rai-Mediaset nell’etere tricolore. Secondo la Commissione infatti le reti del Biscione e quelle del Servizio pubblico sono isolati dalla concorrenza. Romani dice che vuole “assolutamente mantenere” l’impegno preso con la Commissione europea, ma in realtà mastica amaro: ha fallito nella missione di tener fuori o ritardare a colpi di burocrazia lo sbarco di Sky sulle frequenze che il Cavaliere vorrebbe solo per il duopolio “Raiset”.

La carta giocata da Romani per mettere i bastoni fra le ruote a Mockridge era il cosiddetto principio della reciprocità: se Sky Italia, che fa parte di un gruppo americano, entra nel mercato digitale, anche le televisioni italiane devono aver garanzia di poter entrare nell’etere americano. Non essendoci accordi in tal senso, anche l’asta per l’assegnazione delle frequenze italiane non poteva essere convocata. E quindi avanti con lo status quo. Chi ambisce a partecipare alla torta della spartizione delle nuove frequenze deve semplicemente armarsi di santa pazienza e aspettare.

Peccato che la legge dica che il regolamento del “beauty contest”, la procedura per l’assegnazione dell’etere liberato dal passaggio al digitale, deve essere emanato dall’Autorità garante nelle comunicazioni. Al ministero spetta solo l’organizzazione materiale dell’asta. Insomma, secondo il Consiglio di Stato, il ministero diretto da Romani non aveva nessun diritto di interferire nelle regole dell’asta decise dall’Agcom.

Ma c’è di più. Sky Italia è una società italiana, ha sede a Milano e soprattutto paga le tasse al nostro fisco. E comunque, come ha sottolineato il Consiglio di Stato, “il diritto comunitario vieta ogni discriminazione basata sulla nazionalità”.

Ora Romani non può più tergiversare e dagli uffici del ministro fanno sapere al Fatto Quotidiano che il bando è pronto, “lo stanno rifinendo”, e verrà trasmesso a Bruxelles entro l’inizio della prossima settimana. Poi toccherà all’Europa valutarlo in tempi brevi, che non dovrebbero superare la decina di giorni. Anche perché Almunia sta monitorando la guerra delle tv, e questa battaglia in particolare (cominciata un anno fa), con sempre maggiore insofferenza. Tanto che lo scorso gennaio ha ricordato al governo che la procedura d’infrazione è aperta e va risolta.

Dunque Sky può cominciare a disegnare i primi tratti della sua tv digitale, che dovrà essere per forza molto diversa da quella satellitare, dove opera in monopolio: sarà una televisione commerciale, così da far concorrenza a Rai e Mediaset più che a se stessa. Il prototipo è Cielo, l’unico canale free voluto da Murdoch in Italia e trasmesso sulle frequenze del gruppo L’Espresso, oltre che via satellite su Sky. Poi si concentrerà sui target emergenti, con canali di nicchia dedicati ai bambini – in competizione con Boing (Mediaset) – alle donne e all’alta definizione. Senza contare che Sky avrà una piattaforma per trasmettere contenuti come il Doctor House che, per adesso, aumentano lo share di Canale 5. Ma tutto dipende da come finirà il beauty contest.
Di Beatrice Borromeo e Lorenzo Galeazzi
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