Il 2 agosto giorni fa, per una 16enne barese è finito l’incubo delle continue violenze inflitte da due vicini di casa. Solo qualche ora prima, era toccato ad una 15enne confessare di aver subito abusi, nel porto della città, da alcuni coetanei. Ad un’altra bambina, appena 12enne, la stessa sorte: violenza di gruppo. Tre storie, tremende, scoperte e denunciate nel giro di un mese, tutte a Bari. Ma nella realtà sono molte di più e in costante aumento. La responsabilità, per il procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe, è indiscutibilmente una: “I servizi sociali latitano”.

Il procuratore, convocato nella riunione d’emergenza della task-force regionale sulla violenza, ha portato, a supporto della sua tesi, i dati degli ultimi anni: nel 2014 i casi di pedofilia registrati dalla Procura barese erano 34, nei primi sei mesi del 2017 sono saliti a 57. Stesso trend per la prostituzione minorile: 115 casi nel 2014, 157 sino a giugno del 2017. Il Telefono Azzurro completa il quadro, circoscrivendo i reati di abusi sui minori, nel 68,9 per cento dei casi, all’interno delle mura domestiche. “Non c’è nessuno che a quella porta va a bussare – ha detto chiaro il procuratore poco prima dell’incontro – La situazione è preoccupante ma ci sono due costanti: le forme di maltrattamento peggiori si verificano in ambito familiare e in situazioni di trascuratezza materiale ed affettiva. Questo vuol dire che non la scuola, che con noi collabora, ma gli assistenti sociali non ci sono. Devono essere più presenti nelle situazioni di disagio. Mai abbiamo ricevuto denuncia di violenza sessuale su minori dai servizi sociali. L’assessorato al Welfare deve intervenire anche sulle competenze comunali in questo settore”.

Volpe riporta anche un altro esempio che ha scioccato l’opinione pubblica solo qualche mese fa: quello dei bambini rom, residenti nel campo allestito accanto allo stadio San Nicola, divenuti abituale merce sessuale degli adulti. “Si pensi – ha aggiunto il procuratore – che non esisteva nemmeno un censimento dei minori rom”. La carenza di assistenti sociali è una difficoltà ben nota al Comune di Bari, guidato da Antonio Decaro. Il rapporto è di 1 ogni 5mila abitanti “quando sono tutti al lavoro”, tiene a precisare l’assessore al Welfare, Francesca Bottalico. “Un solo assistente sociale si occupa dei 500 rom della città, in due devono gestire tutti gli immigrati che, più o meno stabilmente sono a Bari, uno solo ha a che fare con tutti i cittadini senza fissa dimora”.

Insomma, il personale manca, come spesso accade nei Comuni e nemmeno i progetti di front office, segretariato sociale e pronto intervento sociale possono dare una svolta alla situazione. “Questo non giustifica certamente gli atti di violenza – tiene a precisare la responsabile del Welfare cittadino – Siamo consapevoli che queste atrocità hanno bisogno di una risposta concreta e immediata che potremo dare se lavoriamo in maniera integrata e sinergica”.

Conclusione a cui è giunta anche la Regione convinta che “nel sistema ci sia qualche falla”. Ciò vuol dire, per l’assessore regionale al Welfare, Salvatore Negro, che il servizio sanitario “dovrebbe intervenire con più incisività sui soggetti che abusano e che trovano nell’abuso la propria soddisfazione. La scuola, dal canto suo, può insistere nell’eliminare certi stereotipi che vedono il ruolo della donna o del bambino un po’ obsoleti”.

Il problema, naturalmente, non è solo circoscritto alla città di Bari. Dei 513mila minori pugliesi monitorati dalle strutture regionali, il 4,7 per cento ha subito violenze e maltrattamenti. La violenza sessuale riguarda solo l’1,9 per cento di questi, poco rispetto alla media nazionale del 4,2%. Ma in questo dato non c’è nulla di positivo perché, secondo il report della Regione Puglia, al suo interno racchiude solo una amara certezza: il resto è sommerso.

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