Per il procuratore generale Marco Martani, come del resto per il pm di Bergamo, l’analisi della traccia genetica porta a “risultati rassicuranti” con una “probabilità statistica che diventa assoluta certezza”. L’assenza del Dna mitocondriale “non inficia in alcun modo la valenza del nucleare, l’unico che identifica in maniera certa una persona”.

Il profilo genetico – “grottesco pensare sia un Dna sintetico messo lì apposta” – è la prova non solo che l’imputato e la vittima sono entrati in contatto ma che lui, attratto dalle 13enni, è l’autore dell’omicidio. Per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini una traccia così pura “non può resistere più di poche settimane”, ma soprattutto quel Dna “non è il suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”, dicono ricordando di non aver mai avuto accesso ai reperti. L’assenza di mitocondriale in quella traccia, che non ha le caratteristiche di una prova scientifica, va risolta concedendo una perizia, non chiedendo “un atto di fede”. Bossetti in sede di interrogatorio davanti al gip che doveva confermare il suo fermo disse di soffrire di epistassi e che il sangue sarebbe finito su un attrezzo poi utilizzato da altri.

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Yara Gambirasio, accusa e difesa a confronto: dalla prova del Dna al movente sessuale

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