Un blitz, quasi un’operazione chirurgica: in piena notte sono ripresi i lavori di espianto di ulivi nel cantiere per la costruzione del gasdotto Tap, a Melendugno, in provincia di Lecce. E questo nonostante l’intesa in un primo momento raggiunta sabato scorso in Prefettura, vale a dire il rinvio di tutte le operazioni a novembre su proposta della stessa multinazionale, come dichiarato dal country manager Michele Mario Elia.

A mezzanotte, le prime avvisaglie. Alle due, nelle campagne di San Basilio sono giunte le camionette della Polizia, con rinforzi anche da Napoli. Le ruspe della società, sotto lo sguardo dei vigili del fuoco, hanno spostato in un battibaleno le barricate erette dagli attivisti nei giorni scorsi con pietre e recinzione divelta del cantiere. I manifestanti, nella notte una trentina diventati poi un centinaio all’alba, sono stati “confinati” nell’area del presidio, il fondo dinanzi a quello interessato dai lavori. Alle sette l’espianto è stato ultimato: gli operai e circa duecento agenti sono andati via tra le contestazioni.

Quella di questa notte era, evidentemente, un’operazione preparata da tempo nei dettagli. Ieri pomeriggio è stato nella sostanza solo un passaggio formale il tentativo di chiudere una trattativa con i No Tap, mediazione affidata al comandante della Polizia municipale Antonio Nahi. Il cuore della questione è quello affrontato nella mattinata di ieri in Prefettura a Lecce: espiantare e collocare in vaso gli undici ulivi sui quali erano state effettuate un mese fa le operazioni di zollatura, vale a dire di sagomatura del pane di terra intorno al tronco. A quelle non era seguito il trapianto in vaso, passaggio ritenuto necessario per salvare le piante, secondo gli agronomi di Tap e, ieri, del Servizio fitosanitario regionale. Un’attività da effettuare necessariamente entro il 30 aprile, perché altrimenti, visto il fermo per rispettare il periodo di riposo vegetativo, avrebbe dovuto essere rinviata a novembre. Secondo il Comune di Melendugno e il Comitato No Tap, invece, proprio per evitare nuove tensioni, sarebbe stato più opportuno tutelare gli ulivi curandoli a terra e mettendoli in sicurezza lì.

Al di là delle 211 piante già trasferite, restano intoccabili solo 16 alberi monumentali, per i quali non c’è ancora il via libera dall’apposita commissione regionale, motivo per cui in ogni caso si dovrà attendere l’autunno per completare gli espianti nell’area in cui dovrà essere effettuato lo scavo del microtunnel. E’ questa la parte più delicata e ingegneristicamente complessa di tutto il gasdotto che parte dall’Azerbaijan, attraversa Mar Nero, Turchia, Grecia, Albania e Mar Adriatico, per rispuntare poco oltre le spiagge turistiche di San Foca.

“È stato requisito ancora una volta un pezzo del mio territorio – dice il sindaco Marco Potì, per la prima volta assente al presidio – Qualcuno ha voluto mettere in difficoltà le istituzioni di questo paese, cercando di contrapporre i sindaci alla popolazione che vuole manifestare. Non so se chi ha responsabilità politiche, come i ministri dell’Interno e dello Sviluppo economico, si rende conto del fatto che un’opera di questo tipo non può essere fatta senza il consenso della popolazione. Non si protesta contro un tubicino di gas, come dice Matteo Renzi, ma per tutelare la vocazione, la salute, la sicurezza di un territorio. E noi continueremo a farlo anche dopo oggi”.

Articolo Precedente

Abusivismo edilizio, le tappe di uno scempio che non finisce mai

next
Articolo Successivo

Roma, scontro tra Campidoglio e Regione sull’inceneritore di Colleferro: Raggi vuole eliminare i termovalorizzatori

next