Da oggi è obbligatorio indicare la provenienza delle materie prime impiegate per la produzione di latte, yogurt, burro, formaggi, latticini e altri derivati, prodotti e commercializzati in Italia. È applicato, infatti, il decreto ministeriale del 9 dicembre 2016 firmato dai ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda in attuazione del Regolamento europeo 1169/2011 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 gennaio scorso. Secondo i dati di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) il provvedimento consentirà al consumatore di conoscere l’origine delle materie prime di potenziali ulteriori 510mila tonnellate di formaggi non Dop, che si aggiungeranno alle 513mila tonnellate di formaggi già certificati. Il ministro Martina ha definito l’applicazione del decreto “un traguardo storico per il nostro Paese” che consente “di creare un nuovo rapporto tra produttori e consumatori”. E mentre la Coldiretti ricorda come la situazione sia “più variegata per yogurt e formaggi anche perché il provvedimento prevede che sarà possibile, per un periodo non superiore a 180 giorni, smaltire le scorte con il sistema di etichettatura precedente anche per tenere conto della stagionatura”, per il Codacons “l’obbligo è un piccolo passo”, anche se “la strada per garantire piena consapevolezza alimentare ai consumatori è ancora molto lunga” dato che “la metà della spesa degli italiani è oggi ancora anonima”. D’altro canto lo stesso decreto, già nei mesi scorsi, aveva diviso gli allevatori. Molto critica, ad esempio, la Copagri. Tra gli addetti ai lavori diverse le perplessità sulla possibilità per i consumatori di riuscire a districarsi con le varie etichette, ma anche il fatto che sugli scaffali dei supermercati italiani ci saranno ancora prodotti con etichette poco chiare provenienti da Paesi stranieri e, fra questi, anche da quelli in cui obblighi e controlli sono molto meno scrupolosi.

COSA CAMBIA – Il provvedimento si applica al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale. Cosa cambia da oggi? L’origine del latte e dei derivati dovrà essere indicata in modo chiaro, visibile e facilmente leggibile. Le diciture utilizzate saranno ‘Paese di mungitura’ con il nome del Paese nel quale è stato munto il latte e ‘Paese di condizionamento o trasformazione’. Qualora il latte o il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, confezionato e trasformato nello stesso Paese, si può utilizzare una sola dicitura. Ad esempio: ‘Origine del latte: Italia’. Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono in più Paesi, diversi dall’Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture ‘Latte di Paesi UE (se la mungitura avviene in uno o più Paesi europei)’, ‘Latte condizionato o trasformato in Paesi UE (se queste fasi avvengono in uno o più Paesi europei)’. Se le operazioni avvengono al di fuori dell’Unione europea, verrà usata la dicitura ‘Paesi non UE’. Sono esclusi solo i prodotti Dop e Igp che hanno già disciplinari relativi anche all’origine e il latte fresco già tracciato.

LA COLDIRETTI – L’Italia è diventata il più grande importatore mondiale di latte. A ricordarlo è il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, sottolineando che “ad ora dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di ‘latte equivalente’ tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare fino ad ora magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori”. Secondo l’associazione “con l’etichettatura di origine si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, così come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, senza che questo sia stato obbligatorio fino ad ora riportarlo in etichetta”.

COSA MANCA – E c’è chi ora si augura che la novità possa rappresentare un passo in avanti anche in relazione a “iniquità e contraddizioni” nel settore lattiero-caseario. È il caso di Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef che ricordano la “distanza siderale tra prezzo alla stalla e prezzo al consumo, che segna la doppia ingiustizia, per il consumatore (che paga circa 1,40 euro per un litro di latte fresco) e per l’allevatore (che per lo stesso litro di latte viene pagato attorno ai 40 centesimi)”. Tutto il resto è speculazione di filiera. Ma secondo le associazioni è necessario anche rendere obbligatorie le informazioni relative alle modalità di allevamento e nutrizione degli animali.

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