TEMPISTICHE E ITER BUROCRATICO
Delibera Marino – Con l’ok definitivo della Conferenza dei Servizi, la Roma sperava di poter dare giocare la prima partita nel nuovo stadio nell’estate del 2019. Soprattutto, la delibera voluta da Ignazio Marino e Giovanni Caudo vincolava il primo calcio d’inizio al completamento di tutte le opere di servizio previste, al fine di evitare quanto accaduto nella Capitale negli anni precedenti, ovvero l’edificazione privata senza le collegate opere di urbanizzazione.

Bozza accordo Raggi – Entro fine marzo il proponente dovrà presentare un secondo progetto, che dovrà passare in Assemblea Capitolina affinché venga approvato di nuovo l’interesse pubblico (il dibattito nella maggioranza M5S e’ molto serrato). A quel punto, si tornerà in conferenza dei servizi il 5 aprile, in Regione Lazio, dove c’e’ il rischio di dover ricominciare da capo, analizzando soprattutto la questione trasporti e viabilità. Difficile che si possa far scendere in campo i giallorossi per una gara ufficiale prima del 2020. Non solo. Le opere finanziate da parte pubblica, come la Roma-Lido e il ponte sul Tevere, saranno slegate dal progetto-stadio: sulla prima vige il classico “cauto ottimismo”, nonostante incomba il ricorso della Ratp che potrebbe rallentare l’iter, mentre sulla seconda i tempi potrebbero allungarsi a dismisura, tanto da portare Virginia Raggi a inserire l’opera nella cosiddetta “seconda fase”.

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Stadio Roma, col piano di Marino calcio d’inizio solo a opere pubbliche finite. Ora in campo anche senza ponte e svincolo

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