A 24 ore dalla direzione che potrebbe decidere (finalmente) il futuro del Pd, potrebbe esserci una svolta. Una candidatura alternativa a Matteo Renzi, ma che potrebbe togliere ogni alibi alle minoranze che hanno voglia di scissione, guidate da Michele Emiliano, Roberto Speranza e Enrico Rossi. A ragionare su questa candidatura alternativa sono Andrea Orlando, Cesare Damiano e Gianni Cuperlo, esponenti di aree diverse del partito che secondo le agenzie da ieri hanno scelto di fare fronte comune. “Ci siamo sentiti variamente, io e Cuperlo che siamo di minoranza e Orlando, che nel caso si candidasse sarebbe alternativo al segretario. E’ in corso un ragionamento”, spiega l’ex ministro. In precedenza Orlando – il cui impegno per evitare la spaccatura finale va avanti da una settimana – aveva spiegato in tv: “Se la mia candidatura impedisse la scissione, sarei già candidato”. Dopo poche ore ripete: “Se la mia candidatura è in grado di far ripensare chi ha preso la strada della scissione io sono in campo, più importante di noi è il destino del Pd”.

Ma non basta perché ora sono i bersaniani a chiudere la porta, apparentemente senza appello. Roberto Speranza e gli altri esponenti dell’area di Sinistra Riformista hanno infatti annunciato che non prenderanno parte alla direzione del Pd in programma domani al Nazareno. “No, non andiamo”, conferma Nico Stumpo. Non saranno presenti, spiegano, perché la direzione eleggerà la commissione per il congresso e loro non intendono farne parte, dal momento che non condividono il percorso avviato.

Per Renzi primarie il 7 maggio e amministrative l’11 giugno
Intanto Renzi mette marcia avanti e vuole fissare le primarie il 7 maggio. Prima la ripartenza della sua mozione che sarà presentata dal 9 al 12 marzo al Lingotto di Torino (la culla del Pd, che è nato qui nel 2007), primarie alla peggio dopo due mesi e tutti pronti per le amministrative l’11 giugno. Quella con le minoranze che minacciano di andarsene è stata una partita a poker, anzi lo è ancora. Emiliano, Rossi e Speranza lo accusano di non aver fatto niente per evitare la scissione, lui in qualche modo conferma di non aver fatto niente ma solo perché “è bastato stare fermi e vedere il bluff”, riporta la Stampa.

Rossi: “I nuovi gruppi in Parlamento sosterranno Gentiloni”
Intanto però si parla già di nuovi gruppi parlamentari. Andrea Romano, deputato renziano e direttore dell’Unità, in senso negativo: “Temo che questo processo da parte della minoranza del Pd possa portare a un indebolimento della maggioranza parlamentare” dice alle Voci del Mattino di Radio1 Rai. Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, lo nega: “E’ una domanda che va posta a chi siede in Parlamento, ma penso che (i nuovi gruppi in Parlamento, ndr) sia normale che appoggino il governo”. “Non sono d’accordo con Fratoianni – aggiunge parlando a RaiNews24 – che ci ha chiesto di non sostenere Gentiloni”.

I nuovi gruppi parlamentari della “Nuova Sinistra”: 47 alla Camera, 20 al Senato
I giornali fanno già i conti e i nomi dei nuovi gruppi parlamentari. Alla Camera sono 47 su 303 del Pd (16 portati in dote dall’ex vendoliano Arturo Scotto), al Senato 20 (su 113). Si potrebbero chiamare “Nuova Sinistra”, ma Rossi dice che per il movimento nazionale tiene alla parola “socialista”. Ad ogni modo si fanno già i nomi dei possibili capigruppo: il magistrato Doris Lo Moro a Palazzo Madama e del giurista Andrea Giorgis a Montecitorio. A parte i nomi più noti parteciperebbero all’esodo alla Camera esponenti storici del Pd come Davide Zoggia, Nico Stumpo, Roberta Agostini e l’ex leader della Cgil Guglielmo Epifani, mentre al Senato i nomi sono quelli di Federico Fornaro, l’ex sottosegretario Maria Cecilia Guerra e l’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini. All’Europarlamento si staccherebbero in 3 (su 29): l’ex ministro e ex sindaco di Padova Flavio Zanonato, il milanese Antonio Panzeri e l’ex assessore di Bassolino Massimo Paolucci.

Rossi: “Rispettate la nostra scelta, nel Pd non c’è più spazio per noi”
Rossi ha detto che all’assemblea del Pd “è parso evidente che non c’è alcuno spazio” e dunque meglio una separazione “senza rancori, senza patemi, senza farne un drammone“. Per il governatore toscano “potremmo rispettarci meglio anche da posizioni diverse. Certo, siamo dispiaciuti perché potevano stare insieme se le nostre idee fossero state prese in considerazione. Ma ci è stato detto che non c’è spazio in questo partito”. E di fronte ai tentativi di Emiliano ed Epifani “è stata organizzata una bastonatura andata avanti dalle 10.20 alle 17.45. Rossi rassicura: “Non abbiamo l’esclusiva della sinistra e non vogliamo averla, ma bastava che Renzi nella sua introduzione prendesse tre delle dieci idee che avevamo proposto anche nell’inziativa del giorno precedente a Roma”. Al contrario il presidente toscano ribadisce di non voler “stare in un partito che sia ‘il partito di Renzi’. Dobbiamo lavorare ad un altro soggetto politico con l’intento di rafforzare il quadro del centrosinistra, un centrosinistra che sia attrattivo che potrà allargare l’area di consenso e di raccolta di voti verso il centrosinistra, anche andando in casa di Grillo“. La scelta di andarsene deve essere “rispettata”, dice Rossi: “E’ stato alzato un muro: non attizziamo ancora di più questo messaggio di ieri. Ci sono delle belle separazioni consensuali” anche nelle famiglie. Per Rossi il Pd di Renzi ha fatto “troppi passi verso il centro e milioni di elettori hanno abbandonato il Pd. C’è spazio per una sinistra che non guarda al passato ma al futuro”.

Rossi: “Restituisco la tessera”. Gotor: “Renzi ci sbatte la porta in faccia”. Ma Emiliano tratta
Ma è evidente la differenza di atteggiamento tra le diverse anime delle minoranze che hanno un piede fuori dal partito. Da una parte Rossi racconta: “Proprio poco fa stavo pensando di rispedire la mia tessera alla mia sezione, con una lettera, e andarne a trovare anche il segretario”. Il senatore bersaniano Miguel Gotor rincara: “Ieri Renzi ha sbattuto la porta in faccia a qualunque tentativo di recuperare l’unità all’interno del Partito Democratico. Ha tirato dritto e si assume davanti all’Italia e agli italiani una grave responsabilità: quella di avere rotto il più importante partito italiano”. Invece il tono si ammorbidisce quando parla Francesco Boccia, vicino alle posizioni di Michele Emiliano, l’ultimo ad arrendersi nella ricerca di un’intesa finale con Renzi: a lui, dice il deputato ad Agorà, “chiediamo una risposta sulle questioni poste ieri in Assemblea, non sui giornali attraverso indiscrezioni. Martedì in direzione abbiamo l’ultima possibilità di salvare il Pd, Renzi non butti via tutto, faccia un gesto di umiltà, tolga anche lui ogni alibi per una scissione che farebbe male solo alla comunità democratica”.

L’ultimo appuntamento (forse) in direzione
L’ultimo appuntamento cruciale – e chissà se davvero ultimo – diventa dunque la direzione di domani, quando al Nazareno sono convocati i circa 190 membri per definire la cornice in cui si svolgerà il congresso. Si dovrà tra l’altro comporre la commissione congressuale e lì già si avranno le prime risposte dalle minoranze per capire se vorranno rimanere nel partito oppure no. Ma dall’altra parte la direzione potrebbe anche decidere di prevedere una “assise programmatica” come l’ha chiamata Emanuele Fiano (franceschiniano, quindi nella maggioranza del Pd) e come da una settimana propone proprio Orlando.

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