Le cariche stanno a zero. Il che, per un uomo di potere che nel 2013 arrivò a occupare 6 poltrone tutte insieme, è un duro colpo. Ma i voti? Quelli sono ancora lì, un ‘patrimonio’ che vale oro: migliaia di preferenze sparse in tutto il nord, da Milano all’hinterland passando per la Brianza e sconfinando sia in Piemonte sia in Liguria. Il ‘tesoro’ di Mario Mantovani, da sempre un mago nella raccolta del consenso, fa gola a molti. E forse è anche questa la ragione per cui il politico di Forza Italia (dallo scorso 13 ottobre agli arresti, prima in carcere e ora ai domiciliari, per corruzione, concussione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio) continua a ricevere attestati di stima e affetto dai suoi compagni di partito, molti dei quali giurano sulla sua onestà senza aver neppure dato un’occhiata alle carte dell’inchiesta della Procura di Milano. Lunedì 21 dicembre due fedelissimi dell’ex vicepresidente della Lombardia, il deputato Luca Squeri e il senatore Sante Zuffada, organizzano persino una cena di Natale al ristorante Eurotaverna di Desio, in provincia di Monza, vergando inviti su eleganti cartoncini e chiamando a raccolta 500 forzisti fra militanti e amministratori locali. Due gli ospiti eccellenti: Silvio Berlusconi e Daniela Santanchè. Tema della serata: ‘Un pensiero per Mario’.

E’ l’ex premier in persona a chiamare sul palco il figlio del politico arrestato, Vittorio Mantovani, il quale legge una missiva del padre indirizzata al leader di Forza Italia (guarda il video di Corriere Alto Milanese): “Caro Silvio, una giustizia efferata ha coperto di disonore me, la mia famiglia e miei amici (…) Ora posso con ancor più forza dire, perché vissute nella carne, quanto le tue battaglie per una giustizia davvero giusta siano state segno di lungimiranza e di verità”. Il Cavaliere abbraccia il figlio dell’arrestato, mentre i commensali si scorticano le mani dagli applausi e intonano un coro: “Mario, Mario, Mario”. Subito dopo Santanchè, con la consueta sobrietà, mette i puntini sulle ‘i’: “Mantovani ha avuto per un momento un inciampo, ma non per colpa sua: conosciamo come funziona la magistratura (…) Guardate che la giustizia in questa nazione è come un cancro”.

Per Berlusconi, Santanchè e i vari dirigenti forzisti tutto sembra passare in secondo piano: i gravi indizi di colpevolezza già emersi, una marea di telefonate imbarazzanti, il contestato tentativo di inquinamento delle prove, quella che la pubblica accusa definisce “una spiccata capacità criminale” e l’esistenza di una società fiduciaria che negli anni ha cumulato 11,2 milioni di euro in immobili, la cui titolarità è stata ammessa dal politico nel corso degli interrogatori, come raccontato in esclusiva da ilfattoquotidiano.it.

Mantovani è ancora un politico ricco e potente, un tipico esponente della ‘casta’ che, sebbene agli arresti, per Natale trova pure un prete disposto a celebrargli la messa di mezzanotte. La sua carriera è costellata dai successi: nel 1999, alle elezioni europee, è poco più che uno sconosciuto, ma viene eletto con 37mila preferenze. Cinque anni dopo torna a Strasburgo con 48 mila voti, raccolti a Milano e provincia, in Brianza e un po’ ovunque nel vasto collegio elettorale del nord-ovest, che comprende Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Nel 2008 diventa senatore e sottosegretario alle Infrastrutture del terzo governo Berlusconi e un anno dopo è l’amico Silvio ad affidargli un compito impegnativo: far eleggere al parlamento europeo Licia Ronzulli. Mantovani le trasferisce il suo patrimonio di voti e l’infermiera del San Raffaele stravince con 40mila preferenze. L’ex vicegovernatore lombardo, a ogni campagna elettorale, mette in campo una vera e propria macchina da guerra: cene, feste, gazebo, volantini, manifesti, telefonate senza sosta dai suoi uffici, lettere, opuscoli e libri spediti per posta. Per questo nessuno si stupisce che nel 2013, alle Regionali, il ‘pupillo’ di Silvio raccolga 13mila voti nella sola provincia di Milano, nonostante il crollo del Pdl. Al Pirellone entra da trionfatore e nessuno può negargli, nonostante i dubbi del governatore Roberto Maroni per un politico-imprenditore in campo sociale, l’assessorato più ambito: quello alla Sanità, che vanta un bilancio da 20 miliardi di euro l’anno, il potere di nomina sui vertici delle aziende ospedaliere e un controllo assoluto su manager e dirigenti regionali.

Poi, nel giro di un anno e mezzo, cambia tutto: nel maggio 2014 Mantovani viene sconfitto alle elezioni nella ‘sua’ Arconate (cittadina del Milanese dove fu sindaco per 13 anni), nel settembre 2015 perde l’assessorato alla Sanità in Regione e lo scorso 13 ottobre, all’alba, gli uomini della Guardia di finanza lo conducono nel carcere di San Vittore. Ottiene i domiciliari dopo 41 giorni. E li ottiene perché a chiederlo è il pubblico ministero titolare dell’inchiesta, secondo il quale “una pletora di parlamentari al di fuori del controllo dell’autorità giudiziaria” fa la fila per visitare in prigione il politico caduto in disgrazia. Amicizia? Affetto? Solidarietà umana? Sì. Ma anche, bisbigliano i più maliziosi, un interesse ‘sospetto’ per quel voluminoso pacchetto di voti. Che oggi è in libertà.

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