Lo scorso 10 febbraio la Cassazione, annullando la sentenza di secondo grado, aveva ordinato l’eliminazione dell’aggravante della crudeltà. Oggi i supremi giudici motivano la decisione nei confronti di Salvatore Parolisi imputato per l’omicidio di Melania Rea, a Civitella del Tronto il 18 aprile 2011, spiegando che la donna fu uccisa durante una “esplosione di ira” nata in un litigio “tra i due coniugi” e dovuta alla “conclamata infedeltà coniugale” dell’uomo.

Secondo i supremi giudici, l’uccisione di Melania è avvenuta “in termini di ‘occasionalità’ (dolo d’impeto, non essendo stata mai ipotizzata la premeditazione). L’ex caporalmaggiore dell’Esercito, che per l’accusa colpì con 35 coltellate la vittima, era finito in un “imbuto senza uscita” stretto tra le pressioni della sua amante e le bugie a Melania.

La Cassazione aveva rinviato gli atti alla corte d’Assise d’appello di Perugia che dovrà ricalcolare, un al ribasso, la condanna a trent’anni di reclusione inflitta all’imputato dalla Corte d’appello dell’Aquila il 30 settembre 2013. In primo grado, con rito abbreviato condizionato, il gup gli aveva dato trent’anni.

“Parolisi è stato ritenuto definitivamente colpevole dalla Cassazione che ci ha dato ragione: volevamo che fosse individuato l’assassino di Melania, e l’assassino ora c’è. La quantità della pena non ci interessa, è un fatto secondario in questa drammatica vicenda” aveva commentato l’avvocato Giovanni Monni, difensore di parte civile in nome dei familiari della vittima.

L’avvocato Walter Biscotti aveva invece detto di provare “soddisfazione” perché “adesso la condanna a trent’anni di reclusione non esiste più e si farà un nuovo processo seppure limitatamente all’annullamento dell’aggravante della crudeltà deciso dalla Cassazione”.

Le numerose coltellate inflitte da Parolisi alla moglie indicano che si è trattato di un “dolo d’impeto” finalizzato ad uccidere, ma “la mera reiterazione dei colpi (pur consistente) non può essere ritenuta” come aggravante di crudeltà con conseguente aumento di pena. “L’abbandono in stato agonico” della moglie Melania, da parte di Parolisi, “è anch’esso condotta ricompresa nel finalismo omicidiario, non potendo assimilarsi la crudeltà all’assenza di tentativi di soccorso alla vittima (che presuppongono una modifica sostanziale del finalismo che ha generato l’azione)”.

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