Il video di una telecamera nascosta, mostra un pacioso signore cinese che racconta il proprio business, poi si passa a una grande sala dove carcasse di squalo vengono lavorate da una decina di persone. E infine, ecco il prodotto: due boccette di olio. Puqi, Cina, provincia dello Zhejiang, quella giusto a sud-est di Shanghai. Il signor Li Guang è il titolare della “China Wenzhou Yueqing Marine Organisms Health Protection Foods Co Ltd”: la più grande macelleria di squali al mondo, secondo la descrizione dei media che hanno ribattuto l’inchiesta di WildLifeRisk, gruppo conservazionista di Hong Kong. I suoi attivisti, nel corso di tre anni, hanno visitato tre volte lo stabilimento, portando a casa video e foto. Nel rapporto del gruppo si dice che Yueqing processa ogni anno almeno 600 squali balena, oltre a squali elefante e verdesche; si parla anche di squali bianchi, “in minore quantità”.

“La carneficina avviene per produrre cose inessenziali legate allo stile di vita, come rossetti, creme per il viso, integratori e zuppa di pinne di pescecane”, secondo Paul Hilton e Alex Hofford, di WildLifeRisk. Ma al di là dell’aspetto puramente documentario, l’inchiesta di WildLifeRisk ha il merito di tracciare una sorta di filiera globale dello squalo che – si legge nel rapporto – avviene “in violazione dei regolamenti Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie a rischio di flora e fauna selvatiche) e di specifiche leggi nazionali cinesi”. Come lamenta Li Guang, “in Cina non possiamo neppure utilizzare neppure le ossa”.

Il problema delle leggi è però quello di farle rispettare. Il signor Li, nel video, racconta che in origine gli squali venivano cacciati da pescatori di Taiwan, i quali poi li spedivano in Cina continentale per la lavorazione. La carne veniva poi riesportata nell’ex Formosa, mentre pelle e ossa restavano sul continente e ulteriormente processati e commercializzati. Poi, Taiwan ha bandito la carne di squalo. Nessun problema: Yueqing compra lo stesso la materia prima dai pescatori locali – “l’ottanta per cento del totale”, dice Li – la processa come carne secca di pesce e la esporta in Sri Lanka. Gli stessi taiwanesi spediscono parte del pescato direttamente lì.

L’inchiesta dell’organizzazione di Hong Kong allarga ulteriormente il tiro. Gli squali balena che finiscono nello stabilimento vengono catturati nel Mar Cinese Meridionale, zona che attraversano nei loro flussi migratori. Un esemplare può fruttare ai pescatori fino a 200mila yuan (24mila euro) e, oltre a Yueqing, sulla costa meridionale cinese dovrebbero esserci almeno altre sei macellerie. È legale avere uno stabilimento che processa la carne di squalo – riconosce Hilton – “ma le specie che vengono lavorate sono protette”. Dopo di che, la pelle di squalo balena è venduta come materia prima nel commercio delle borse, mentre la carne finisce soprattutto nei ristoranti cinesi sparsi per il globo.

Nel video, il fratello del signor Li dichiara che la pelle è generalmente esportata in Europa: “In Francia e in Italia, per i ristoranti cinesi, come pelle di pesce ma anche come gelatina”. Secondo l’inchiesta, anche gli Usa sono un mercato di destinazione. Ma il vero business è l’olio: “Il migliore è quello dello squalo elefante, ne produciamo da dieci a venti tonnellate l’anno – dice Li Guang – di verdesca ne otteniamo un centinaio di tonnellate e se mischiamo quelli di balena, elefante e verdesca, si può arrivare alle 200 tonnellate”. Per contrabbandarlo, lo si fa passare come semplice olio di pesce. Secondo WildLifeRisk, l’olio di squalo viene utilizzato nei prodotti di bellezza per la pelle, nei rossetti e negli integratori a base di Omega-3. Infine le grandi pinne che, essiccate, sono vendute soprattutto ai ristoranti di Guangzhou che offrono pietanze a base di squalo. Si mangiano? No, vengono poste all’ingresso del locale come richiamo per i clienti.

di Gabriele Battaglia

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