Un altro attentato colpisce la Russia a venti giorni dal via dei giochi di Sochi. A Makhachkala, capitale del Daghestan, il ristorante “Impero d’oro” è stato bersaglio dai colpi di lanciagranate e dall’esplosione di un’autobomba. Per ora si contano solo una decina di feriti, ma il livello di allerta è di nuovo al massimo. L’attentato arriva nel giorno in cui il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha annunciato nuovamente la scomparsa di Doku Umarov, il Bin Laden del Caucaso del nord che dal 2007 tiene sotto scacco il Cremlino e che ora minaccia sangue anche sui giochi di Sochi.

Le esplosioni sono avvenute contemporaneamente al discorso del presidente russo Vladimir Putin alle televisioni straniere, per assicurare che la Russia farà “di tutto” per garantire la sicurezza dei Giochi che inizieranno il 7 febbraio. Nel suo intervento, Putin ha fatto riferimento anche agli omosessuali, che possono sentirsi i benvenuti alle Olimpiadi, ma “devono lasciare in pace i minorenni”. 

Finora l’hanno dato per morto almeno sei volte, ma Kadyrov stavolta ha affermato di avere nuove prove: l’intercettazione di una conversazione tra cosiddetti “emiri” del Daghestan e della Kabardino-Balkaria che discutono l’elezione del successore del sedicente Emiro del Caucaso Doku Umarov in seguito alla sua morte. Nel colloquio ciascuno sostiene il proprio candidato, anche se stranamente l’emiro della Kabardino-Balkaria propone un capo daghestano mentre i daghestani insistono per un certo Vadalov, nato in Cecenia. “Eravamo sicuri al 99% che Umarov fosse stato ucciso in una operazione. Ora abbiamo la prova che è morto, anche se il suo corpo non è ancora stato trovato. Lo stiamo cercando”, ha scritto sul suo account Instagram Kadyrov, che già il 18 dicembre aveva annunciato l’eliminazione del capo della guerriglia caucasica. I servizi segreti russi, tuttavia, non confermano: “Non abbiamo un’informazione simile”, ha precisato una loro fonte.

La prima volta che Umarov è stato dato per morto risale addirittura al 2000, poi in altre occasioni, prima e dopo il 2007, quando ha raccolto il testimone di Shamil Basaev, il ‘leggendario’ padre del terrorismo ceceno ucciso l’anno prima in circostanze mai ben chiarite. Fu lui a firmare, tra l’altro, la presa degli ostaggi al teatro Dubrovka (2002) e quella della scuola di Beslan (2004). Con Umarov però la guerriglia cecena si è trasformata da una battaglia secessionista a una guerra di religione per creare un Emirato islamico nel cuore del Caucaso. Sempre a colpi di attentati: dal treno Mosca-San Pietroburgo nel 2009 (28 morti) alle ‘vedove nere’ che si sono lasciate esplodere nella metro di Mosca nel 2010 (38 morti), al kamikaze all’aeroporto Domodedovo di Mosca (37 morti).

Grandi stragi in mezzo ad una scia quasi quotidiana di attacchi minori nelle varie regioni caucasiche, in particolare in Daghestan, come quello di stasera al ristorante ‘Impero d’orò, dove un uomo ha sparato con un lanciagranate e un’autobomba è esplosa all’arrivo dei poliziotti. Nessuna rivendicazione al momento è arrivata però per i tre recenti attentati kamikaze a Volgograd: due su un bus (21 ottobre, 7 morti; 30 dicembre, 16 morti) e uno alla stazione ferroviaria (29 dicembre, 18 morti). Potrebbe essere forse un segno che Umarov è morto davvero e che la guerriglia è ancora viva, in attesa di un nuovo capo. Ma quella di Kadyrov potrebbe essere anche una trappola, un modo per costringere il Bin Laden russo a battere un colpo, consentendo alle forze di sicurezza, ora dispiegate alla massima potenza in vista di Sochi, di individuarlo. Per ora comunque resta il ricercato numero uno in Russia e su di lui pende anche una taglia di 5 milioni di dollari offerta anche dagli Usa.

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