Il giovane Enrico Letta conosce Massimo Sarmi non bene, benissimo. Ci fu un periodo, nei primi mesi del 2008, quando era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Romano Prodi capo del governo, che se lo trovava spesso in anticamera a Palazzo Chigi. Era molto ossequiente e riverente allora, Sarmi, e pure un po’ mogio: voleva essere riconfermato alla guida delle Poste italiane dove era entrato sei anni prima succedendo a Corrado Passera. Ma non stava nelle grazie del ministro di allora, Paolo Gentiloni, che lo stimava poco perché riteneva che le Poste sotto la sua guida stessero prendendo uno strambo dirizzone, trasformandosi in un ambaradan che si occupava di tutto tranne che di lettere e raccomandate. E poi Sarmi non era un manager che il centrosinistra considerava affine, anzi, lo avevano sempre catalogato tra gli “altri”, quelli prossimi al centrodestra. E non a torto.

Quando era ancora un giovane dirigente della Sip (l’attuale Telecom), Sarmi aveva scommesso su Gianfranco Fini e An. Non era un vip a quei tempi, anche se guidava un ufficio che valeva oro: responsabile degli acquisti nel periodo in cui la grande azienda pubblica dei telefoni stava rinnovando le centrali e lanciando la volata dei cellulari. Proprio nella telefonia mobile Sarmi sbocciò come manager di primo livello: direttore generale di Tim al posto di Vito Gamberale. E in ambito telefonico è rimasto a lungo, transitando però nel 2000 a Siemens Italia, dopo essere entrato in polemica con i nuovi padroni di Telecom privatizzata. Una volta assodato che Fini prometteva bene, ma il centrodestra era Silvio Berlusconi, Sarmi si adeguò. Scelto nel 2002 come amministratore delle Poste dal centrodestra, dovendo inaugurare alla vigilia di Natale del 2004 il restaurato e centralissimo ufficio postale di piazza San Silvestro a Roma, opportunamente invitò alla cerimonia Berlusconi, allora capo del governo, e per fargli una sorpresa battezzò seduta stante il nuovo sistema operativo “Sistema Informatico a Livello Virtuale di Integrazione Operativa”, il cui acronimo è S.I.L.V.I.O. Dicono che a Sarmi l’ideona sia stata suggerita da un collaboratore, Raimondo Astarita, che ha fatto carriera forse grazie anche a quell’exploit e ora dirige una società della galassia postale, Poste Tutela, che si occupa di garantire la sicurezza del movimento di quattrini (tanti) nelle filiali sparse ovunque in Italia.

Nonostante questi trascorsi poco commendevoli agli occhi dei governanti di centrosinistra, Sarmi tanto fece e tanto supplicò che lo accontentarono. Grazie anche all’aiutino di Franco Marini, presidente del Senato ed esponente Pd. Ma soprattutto ex segretario Cisl, il sindacato-azienda che alle Poste detta legge, così influente da nominare un suo esponente, Giovanni Ialongo, ex capo dei postini, come presidente del gruppo e anche di Postel. Successe poi che alle elezioni di aprile 2008 Berlusconi stravinse e Sarmi, forse per allontanare da sé ogni sospetto di intelligenza con il centrosinistra, se gli capitava di incrociare in pubblico il giovane Letta lo salutava con una certa rigidità, quasi non l’avesse mai conosciuto. Sarmi diventò lo zar delle Poste, portando alle estreme conseguenze un processo già avviato da tempo e che consiste nell’ignorare la ragione sociale dell’azienda che risiede nella consegna puntuale e diligente di corrispondenza e pacchi e puntare su altro: il credito, le assicurazioni, i telefonini. E ora pure gli aerei Alitalia. Un’impostazione che fa disperare i cittadini e comincia ad avere il fiato corto: la semestrale indica che proprio mentre le Poste fanno le splendenti con la compagnia aerea, i conti soffrono. L’utile del periodo scende di quasi il 13 per cento (da 415 milioni di euro a 362), mentre crolla il risultato operativo dei servizi postali e commerciali, meno 49 per cento (da 302 milioni di euro a 154).

Oberati da tanti problemi e dalla miriade di business inseguiti, nell’azienda di Sarmi nei ritagli di tempo non disdegnano di fare contento qualcuno che conta. Come per esempio Angelino Alfano, il cui fratello Alessandro è stato gratificato con un posto di dirigente a Postecom e uno stipendio, dicono, di 200 mila euro l’anno. O Attilio Befera, presidente di Equitalia e dell’Agenzia delle entrate, alla cui nuova moglie, Anna Rita Pelliccioni, è stato affidato il compito di tenere i rapporti tra Poste e istituzioni locali. O Salvatore Rossi, da alcuni mesi direttore generale di Bankitalia, la cui compagna, Laura Zavattaro, segue le relazioni esterne ed è stata nominata dirigente.

A Palazzo Chigi oggi Letta si è ritrovato Sarmi in anticamera, in circostanze simili a quelle di cinque anni fa. Come allora, Sarmi frigge perché nel caso non riuscisse a diventare il capo di Telecom in versione spagnola, non sgradirebbe affatto la prossima primavera di essere riconfermato alla guida delle Poste per la quarta volta, un record con incorporato emolumento da oltre 2 milioni di euro l’anno. A questo giro, però, anche Sarmi è utile a Letta. Nel senso che l’Alitalia sta fallendo, non ci sono più soldi e le Ferrovie, Fintecna e Cassa depositi e prestiti non sono disposti a tirarli fuori per una causa che appare persa. Letta si è rivolto a Sarmi. E come la sventurata monaca di Monza, il capo delle Poste ha risposto.

da Il Fatto Quotidiano del 16 ottobre 2013

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