L’esperienza di governo è finita: le dimissioni, dopo i ministri, toccano ai sottosegretari. Silvio Berlusconi ha incontrato i suoi e i toni sono stati tutt’altro che concilianti. Il leader del Popolo della libertà si è assunto le responsabilità della scelta e ha dettato la road map dei prossimi giorni: una settimana di tempo per votare legge di stabilità, decreto Iva e la cancellazione della seconda rata dell’Imu e poi al voto. Un “no” secco a quelli che il Cavaliere chiama “governicchi di traditori e transfughi” e il tentativo di ricompattare i suoi. “L’idea di far dimettere i ministri”, ha dichiarato all’incontro dei gruppi Pdl, “è stata mia. Nessuno mi ha costretto. Forza Italia non è assolutamente estremista. Ho avvisato io personalmente tutti, ma ora dobbiamo spiegare la nostra decisione ai cittadini”. E il chiarimento potrebbe arrivare già nei prossimi giorni con una nuova apparizione televisiva.

Video di Manolo Lanoro

Il discorso non è piaciuto alle altre forze politiche. “Basta ricatti”, hanno fatto sapere i dirigenti del Partito democratico, “Berlusconi continua a cambiare le carte in tavola per i suoi interessi personali”. Così Dario Franceschini, ministro democratico per i rapporti con il Parlamento: “La proposta di Silvio Berlusconi è irricevibile, non può lanciare una frase e promettere di fare la legge di stabilità in una settimana. C’è un bivio per la destra italiana: seguire il Cavaliere o fare quello che i moderati di tutta Europa si aspettano”. Pier Ferdinando Casini: “Elezioni ora sarebbero un salto nel vuoto”.

Se il segretario Angelino Alfano solo poche ore prima aveva manifestato qualche perplessità sulla decisione, ha ascoltato il discorso in silenzio. Ma i dubbi all’interno del gruppo Pdl però restano. Tanto che lo stesso Alfano, secondo alcune indiscrezioni, nell’incontro serale avrebbe messo sul tavolo l’ipotesi di lasciare il partito per dar vita a gruppi autonomi pronti a sostenere Enrico Letta. “O congeliamo le dimissioni dei ministri”, ha commentato Fabrizio Cicchitto al termine dell’incontro, “e, così facendo, vengono meno le ragioni per un voto di fiducia oppure il Popolo della libertà deve votare la fiducia”. Silvio Berlusconi sarebbe però riuscito a ricompattare i suoi. Sarebbero troppo pochi, pallottoliere alla mano, le colombe, i “diversamente berlusconiani” e i moderati del Pdl pronti ad andare contro la strategia ‘di guerra’ dettata dal Cavaliere. L’ex premier, da canto suo, sarebbe disposto ad ascoltare il dissenso emerso all’interno del partito, arrivando, per evitare rotture, a mettere sul campo un appoggio esterno al governo Letta per quel che riguarda i provvedimenti di natura economica. Il voto, a questo punto, potrebbe arrivare a marzo. Intanto Enrico Letta starebbe valutando il da farsi. Il premier, non avendo una maggioranza in grado di assicurare una vita tranquilla all’esecutivo fino al 2015, starebbe infatti ragionando sul fatto di chiedere la fiducia non su un eventuale programma, ma sul Governo. Letta, infatti, non sarebbe più disposto a contare sull'”inaffidabile” appoggio del leader Pdl.

Davanti ai parlamentari Pdl, Berlusconi ha spiegato i motivi della scelta di rottura con il governo Letta: “Ho deciso da solo nella notte perché gli italiani non capivano come facessimo a stare al governo con la sinistra se i nostri deputati si erano dimessi”. L’accusa è andata ancora una volta ai magistrati: “Ho sempre pagato le tasse, a costo di avere contro i colleghi che evadevano. L’uso politico della Giustizia è il cancro della democrazia. Per i giudici di Magistratura democratica c’è democrazia solo se la sinistra è al potere”. Lo strumento fondamentale per metterlo fuori gioco, ripete Berlusconi è la legge Severino: “Per allontanarmi”, ha detto, “dalla vita politica hanno usato la retroattività della legge Severino cosa mai vista. Si tratta di una duplice situazione antidemocratica se unita alla magistratura politicizzata. In questo modo si vuole eliminare dalla scena il leader dei moderati“. La colpa secondo il Cavaliere è di Magistratura democratica: “E’ un’associazione prevalentemente segreta. Sono noti solo dirigenti e candidati. E ci sono documenti che impongono di amministrare la giustizia con criteri politici. Su tutto ciò non possiamo far finta di niente”.

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