Formare una cooperativa, rilevare la fabbrica e avviare un nuovo piano industriale. È il workers buyout la strada che i 48 lavoratori della Pansac di Ravenna, storico stabilimento collocato nel cuore della Darsena, hanno deciso di intraprendere per salvare il proprio posto di lavoro: mettere insieme i propri risparmi e comprare l’azienda, così da evitare il fallimento e la conseguente chiusura della fabbrica. Perché dopo anni di problemi, dalle buste paga che non arrivavano agli stipendi che non venivano pagati, dalla crisi finanziaria dell’azienda alla cassa integrazione, e dopo un lungo commissariamento che ha visto succedersi al comando della Pansac International s.p.a, industria specializzata nella lavorazione della plastica, diversi amministratori, straordinari e non, nessuno si è fatto avanti per rilevare ciò che la proprietà storica dell’impresa ha lasciato in eredità: uno stabilimento con ottime potenzialità produttive, affondato da cumuli di fatture da pagare e conti in rosso per centinaia di milioni di euro. Nessuno ha offerto abbastanza. E per non perdere tutto, i lavoratori hanno deciso di provare a organizzarsi.

Del resto loro, i dipendenti del polo produttivo di Ravenna, la nave non l’hanno mai abbandonata. Hanno mantenuto attivo lo stabilimento quando al timone della Pansac c’era l’ex presidente del Mantova Calcio, Fabrizio Lori, succeduto al padre nella proprietà dell’azienda e poi condannato per bancarotta. E hanno continuato a lavorare anche quando il dissesto del polo industriale è peggiorato, arrivando a superare 280 milioni di ‘rosso’ con la gestione Alix Partner, e commissario dopo commissario, gli stipendi non erano garantiti, solo per assicurarsi che le macchine continuassero ad essere accese e che il ciclo produttivo rimanesse inalterato.

“L’azienda – spiega Guido Cacchi, segretario generale della Uiltec di Ravenna – ha sempre avuto le capacità produttive per rimanere sul mercato, ma è stata vittima di scelte finanziarie molto diverse da quelle che un buon imprenditore avrebbe operato. Per questo stiamo cercando di fare il possibile per salvarla”. Eppure oggi, nonostante il loro lavoro, quegli operai rischiano di perdere tutto. Il fallimento non è scongiurato, tutt’altro, e allora hanno pensato di provare la strada della cooperativa, rilevare la Pansac di Ravenna, unendo gli indennizzi riconosciuti con l’attivazione della mobilità e avviare un nuovo piano industriale. Ma non è detto che l’impresa riesca.

“E’ un percorso in salita e, anche se i presupposti ci sono, non sarà facile formare la cooperativa” spiega Alessandro Mongiusti, delegato Filctem Cgil, che insieme a Cisl e Uil ha riunito i lavoratori in assemblea per spiegare quale sarà l’iter necessario a raggiungere l’obiettivo: ottenere il contratto d’affitto per la fabbrica e per i macchinari e, successivamente, quando si arriverà in giudizio per il fallimento della Pansac International, e i locali saranno messi all’asta, godere del diritto di prelazione per comprare lo stabilimento. Anche perché i tempi sono stretti.

“Il commissario attuale, l’avvocato Marco Cappelletto, ha chiesto che la domanda di affitto dei locali sia formalizzata entro il 13 settembre prossimo – spiega Roberto Palmarini, della segreteria territoriale Uiltec di Ravenna – e ci sono moltissime cose da fare perché la cooperativa nasca. Per esempio è necessario ottenere finanziamenti dalle banche: i lavoratori chiederanno un anticipo sulla loro mobilità, ma da quando si presenta la domanda a quando il denaro viene effettivamente ricevuto trascorre del tempo, e intanto serve una copertura economica”. E poi ci sarebbero lavori di manutenzione da avviare prima della riapertura e un nuovo posizionamento commerciale da valutare per potenziare la produttività del sito. Grattacapi con i quali i lavoratori oggi stanno facendo i conti per capire se il progetto è sostenibile, e se si riuscirà quantomeno a mantenere i bilanci in attivo.

Tuttavia, non ci sono altre possibilità. “L’alternativa – conferma Stefano Perazzini della segreteria territoriale Femca Cisl di Ravenna – è la chiusura”. “Per noi è l’ultima spiaggia – racconta Francesco Damiani, delegato Uil e dipendente della Pansac – noi siamo speranzosi, però ci rendiamo conto che se il progetto dovesse fallire non solo avremmo perso le nostre indennità di mobilità, ma anche la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali. E’ una decisione sofferta, perché richiederà grossi sacrifici da parte di tutti, dovremo lavorare con la retribuzione minima di categoria, circa 1.000 euro al mese, e perderemo quei pochi vantaggi acquisiti con l’anzianità di servizio: io per esempio lavoro qui da 15 anni e avevo dei benefici di carriera. Negli ultimi anni, poi, le varie gestioni ci hanno portati a perdere commesse e clienti che dovremo riconquistare, dovremo produrre almeno 200 tonnellate al mese per rimanere a galla. Ma quali alternative abbiamo? Alla mia età dove vado? Ho 47 anni, e molti colleghi, come me, sono troppo giovani per la pensione ma troppo vecchi per entrare in altre aziende. Speriamo di farcela, ma quello che ci troviamo davanti è un salto nel buio”.

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