Non aveva mai perso il gusto della vita il cardinale Ersilio Tonini perché, diceva, “alla soglia dei cento anni credo ancora nella meraviglia“. La storia di quello che fino a oggi è stato il più anziano porporato vivente della Chiesa inizia paradossalmente all’età della pensione. Nel 1990, quando ha ormai compiuto 76 anni, Tonini lascia il governo dell’arcidiocesi di Ravenna-Cervia e inizia la sua “carriera mediatica“. L’anno successivo è tra i protagonisti della trasmissione televisiva “I dieci comandamenti all’italiana” del suo grande amico Enzo Biagi. Ma il vero colpo di scena arriva nel 1994 quando Giovanni Paolo II decide di crearlo cardinale. Tonini ha già compiuto ottant’anni e in caso di Sede Vacante non entrerebbe in conclave, ma quella nomina voluta dal Papa polacco suona come un riconoscimento per il lavoro svolto all’interno della Chiesa, ed è per il neo porporato uno slancio a spendersi ancora, con la sua grande dote di comunicatore, per annunciare il Vangelo, questa volta però con l’aiuto della televisione. Il suo volto diventa rapidamente familiare agli spettatori italiani. I suoi interventi sempre pacati, rispettosi ed esposti con estrema chiarezza bucano il piccolo schermo.

Tonini non scende mai nell’agone politico vero e proprio, ma affronta sempre temi sociali. La sacralità della famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna è il perno centrale delle sue riflessioni. Tonini non fa sconti a nessuno sulla dottrina, condannando sempre con chiarezza e fermezza divorzio, aborto e soprattutto le adozioni gay. “Un bambino che nasce – afferma il cardinale – ha bisogno di tutto, padre e madre hanno in mano il destino, è per questo che l’uomo e la donna si uniscono. È per questo che il matrimonio, questo matris munus, “dono della donna” è uno degli eventi più straordinari della vita sociale umana. L’innamoramento dell’uomo e della donna – sottolinea Tonini – non è soltanto un atto che sazia il desiderio di amore, di donazione dell’uno e dell’altro, è molto di più, perché si protende poi a far che cosa? Non è un amore soltanto di due amici che dicono andiamo insieme a sciare, facciamo un viaggio in America, andiamo insieme sulla luna. È qualche cosa di molto più grande: mettiamoci insieme per fare degli esseri umani, dare la nostra vita a qualche essere, che poi domani la vita la benedica, a sua volta provi gioia nel trasmetterla ad altri. La vita umana è un miracolo, è un miracolo perché è frutto dell’amore e della libertà, perché nel matrimonio si esige che ci sia l’innamoramento? Senza innamoramento diventa un mestiere, diventa un bordello”.

Tonini non elude nemmeno le grandi domande dell’esistenza e i misteri del dolore e della morte. “La sofferenza – sostiene Tonini – è la condizione della libertà, la sofferenza è il prezzo che bisogna pagare per l’esercizio della libertà, perché senza libertà non puoi far della vita tua un grande bene. Ma quando dico libertà intendo dire non la tua capacità di scegliere giusto e sbagliato, la libertà vera è la capacità, l’intelligenza di capire, di valutare il valore della tua esistenza”. Per lui “la morte è il momento in cui la tua esistenza cessa di palpitare, la morte è vederti sottrarre la propria esistenza senza averlo voluto, la tua esistenza che sfugge al tuo controllo, capisci che passi da capacità, da possibilità che a un certo momento non esistono più, non sei più un essere umano ma una cosa, diventi un oggetto di cui tutti possono servirsi”.

Per Tonini l’uomo fin da piccolo è chiamato a distinguere tra il bene e il male. “Deve vedere e chiedersi soprattutto – afferma il porporato – se è in grado di realizzare sé come un grande bene per sé e per gli altri, perché questo poi alla fin fine è la ragione, l’interrogativo più forte, valeva la pena che tu nascessi? Valeva la pena che tuo padre e tua madre facessero tanti sacrifici per metterti al mondo? A quale pro, con quale vantaggio per sé, per te o per gli altri?”.

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