Quello dei sindacati più che un semplice allarme è un grido disperato. A Modena, ma non solo, il sistema cooperativo sta lentamente marcendo a partire dalle fondamenta, e cioè dalle 900 cooperative che ogni giorno danno lavoro a decine di migliaia di addetti in tutta la provincia. Le coop fanno sempre più fatica a rispettare le regole e a restare dentro la legalità, la concorrenza si è fatta spietata e al massimo ribasso, gli abusi fiscali e contributivi si diffondono a macchia d’olio e da tempo caporalato, ricatti e sfruttamento del lavoro sono diventati la norma. “Due settimane fa una nostra coop è subentrata in un appalto – racconta Gianluca Verasani, direttore di Legacoop Modena – e ha scoperto che gli stipendi erano pagati dalla vecchia gestione così: 300 euro in busta paga, 400 come rimborso trasferta”. E si sa, sui rimborsi non ci sono tasse né contributi, né si matura il Tfr.

“Il trucco nel nostro settore si chiama ‘Trasferta Italia’ – spiega Cesare Galantini, che per la Cgil di Modena si occupa di trasporti e logistica –. Una voce in busta paga che sulle teoriche 168 ore mensili di lavoro riesce ad assorbirne anche più della metà ed elimina tutti gli obblighi contributivi. Chi non fa così rischia di non essere più concorrenziale”. I numeri del fenomeno? Impossibili da dare con precisione, “le finte coop spuntano come funghi, hanno sede spesso fuori regione, e poi svaniscono nel nulla”. Solo nel settore facchinaggio la Cgil ha contato 6500 “finti” soci inquadrati in 100 cooperative spurie.

Caso clamoroso quello di Fruit Logistic e Ggroup a Campogalliano, a pochi km da Modena, scomparse in un lampo all’inizio di febbraio. La sera c’era lavoro e una struttura aziendale con uffici e responsabili, la mattina quella stessa sede era chiusa, con un cartello che avvisava di far riferimento alla sede di Milano, e un piccolo problema: nessuno, nemmeno i sindacati, è riuscito ancora a trovare uno straccio di numero di numero di telefono della fantomatica sede centrale milanese. “Cento facchini sono ora senza reddito – spiega Galantini – La cosa incredibile è che non sono nemmeno stati licenziati, semplicemente sono appesi a società che non esistono più o che non vogliono più pagare” Nei prossimi giorni Galantini dovrebbe incontrarsi, il condizionale è d’obbligo, con i rappresentanti legali di Fruit Logistic e Ggroup. “Di loro per il momento conosco solo un numero di cellulare, da quello che è dato sapere fanno riferimento alla stessa proprietà”.

L’assemblea dei soci? Non esiste. Lo statuto e il regolamento? Si lasciano scrivere, e non li approva nessuno. I bilanci? Mancano i controlli. “Le faccio un esempio – spiega Galantini – tre persone aprono una coop, assumono 30 nord africani senza lavoro e tra irregolarità e bassi stipendi vincono un appalto sbaragliando la concorrenza. I tre si assegnano stipendi d’oro, e finché possono resistono. Al primo controllo fiscale o contestazione chiudono i battenti. Qualche mese dopo rieccoli spuntare con una nuova coop, e vincere un nuovo appalto al massimo ribasso”. Un sistema che secondo la Cgil ormai sta diventando predominante. “Come sindacato arriviamo spesso quando ormai c’è poco da fare, l’azienda ha chiuso i battenti e bisogna avviare lunghe cause per tentare di recuperare stipendi e quote sociali”.

Altro settore, quello della macellazione carni. Tremila lavoratori nell’industria modenese, altri 1200 nelle “finte cooperative”. I dati li dà sempre la Cgil. “Attenzione, i numeri sono sicuramente sottostimati”, spiega Umberto Franciosi, segretario Generale della Flai-Cgil di Modena. Franciosi ha aperto un sito, www.nuovocaporalato.it, dove raccoglie tutte le segnalazioni e le denunce del  settore. “Ci sono persone che aprono e chiudono una nuova cooperativa ogni 12 o 24 mesi, e fargli causa è inutile perché i tempi della giustizia sono quelli che sono”. I calcoli del sindacalista dicono che il costo medio del lavoro nel settore della macellazione si aggira attorno ai 24 euro lordi l’ora, con punte di 36 per gli iperspecializzati. “Iniziamo a vedere società che si propongono a 11 euro, impossibile combattere ad armi pari per chi vuole rispettare le regole”.

Gli ingredienti sono sempre gli stessi: lavoratori stranieri non sindacalizzati con la necessità di rinnovare un permesso di soggiorno (ma iniziano a vedersi anche gli italiani), statuti e regolamenti che nessun socio ha mai visto, espulsione di chi non può più lavorare tramite una delibera del consiglio di amministrazione. “Teniamo presente che il lavoro è massacrante soprattutto per chi nei macelli ci entra con una coop vincitrice di un appalto al massimo ribasso. Dopo i 40 anni molti non riescono più a tenere in mano un coltello”. Anche nel settore della macellazione c’è l’abitudine di pagare i lavoratori facendo abbondante uso della voce “trasferta”. E’ così si vedono buste paga di aiutanti disossatori imbottite di trasferte verso non si sa bene quale destinazione. Spesso disossatori in outsourcing lavorano gomito a gomito accanto ai loro colleghi assunti direttamente dal macello, e a dirigerli ci sono sempre gli stessi responsabili. “Per noi questo è reato di somministrazione irregolare di manodopera”

“Da tempo abbiamo lanciato l’allarme – spiega Gianluca Verasani, direttore di Legacoop Modena – Associarsi ad una centrale, non importa se Legacoop, Confcooperative o Agci, vuol dire essere controllati ogni anno o al massimo ogni due. Verifiche non solo formali, ma anche interviste ai soci, controlli contabili e analisi dei contratti”. Per i non associati sono invece previsti controlli  ministeriali, almeno sulla carta. “Capita che i funzionari del Ministero non arrivino mai. Per questo – conclude Verasani – il tema è sempre più quello del controllo incrociato, è da tempo che chiediamo a tutti di fare rete e iniziare seriamente a monitorare la situazione. Non è possibile che a Modena, nel settore della logistica e del facchinaggio solo il 10%  delle circa 180 imprese cooperative esistenti sia associato ad una delle centrali cooperative. La sproporzione è evidente, e non può non suscitare forti dubbi circa la diffusione di forme di cooperative “spurie” che nulla hanno a che vedere con la reale natura cooperativa”.

Una situazione solo Modenese? Spostandosi a Reggio Emilia c’è Coopservice, colosso cooperativo da 15mila addetti. “Abbiamo 900 facchini e le spalle forti – spiega Andrea Grassi, dirigente Coopservice – eppure ci scontriamo sul mercato con cooperative capaci di mettere in campo un costo orario per lavoratore di più di due euro più basso del nostro. Ogni anno copriamo le perdite del settore logistica con le altre attività dell’azienda, ma è chiaro che non possiamo continuare così per sempre. Chi come noi rispetta le regole e dialoga col sindacato rischia di essere buttato fuori dal mercato. Servono subito controlli a tappeto”. Pochi giorni fa Coopservice ha rinunciato a un importante appalto a Reggio Emilia perché, per usare le parole di Grassi, “ci stavamo dissanguando”.

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