La corte d’Appello di Torino ha condannato  i “grandi vecchi” della Fiat, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, a un anno e quattro mesi di reclusione ciascuno e a una multa di 600mila euro a testa. I due erano accusati di aggiotaggio informativo nel processo Ifil-Exor. Assolte con la formula “perché il fatto non sussiste” le società Ifil-Exor e l’accomandita Giovanni Agnelli Sapaz.

La vicenda riguarda l’equity swap che nel settembre del 2005 consentì alle finanziarie degli Agnelli di mantenere il controllo della Fiat non scendendo sotto il 30 per cento del capitale e impedendo la diluizione che sarebbe stata causata allo scadere del prestito convertendo (in azioni Fiat) con le banche. Al centro della condanna, il comunicato stampa di Ifil (la finanziaria che controllava il Lingotto) del 24 agosto 2005 indirizzato alla Consob e agli azionisti che non ha fatto cenno all’operazione finanziaria che ha permesso alla famiglia Agnelli di mantenere il controllo della Fiat.

Alle parti civili (la Consob e un piccolo azionista) non è stato accordato alcun risarcimento. Per Gabetti e Grande Stevens, a cui è stata comunque concessa la sospensione condizionale, c’è anche la pena accessoria dell’interdizione per un anno dai pubblici uffici, alla quale si aggiunge, per Grande Stevens, l’interdizione dall’esercizio dell’avvocatura. In ogni caso la prescrizione è dietro l’angolo: il reato si prescrive il prossimo 25 febbraio. Per ottenere l’estinzione del procedimento è comunque necessario un ricorso: in questo caso, dal momento che si tratta di una sentenza di una Corte d’Appello, alla Cassazione.

Se la Suprema Corte non dovesse accogliere una eventuale richiesta di annullamento delle condanne di oggi, potrebbe dichiarare il “non luogo a procedere”.

Uscendo dall’aula, Grande Stevens ha dichiarato: “Una sentenza inimmaginabile, non me lo aspettavo proprio”. Gli fa eco Gabetti: “Avrei sperato in un risultato diverso. Avrei sperato un risultato diverso, ovviamente, ma ora sta ai professionisti leggere le motivazioni della sentenza e poi ci consiglieranno sul da farsi”.

“Non posso accettare di concludere la mia esistenza sotto l’onta di una condanna”, aveva detto prima della decisione dei giudici Gabetti, ex presidente di Ifil. Grande Stevens, avvocato dell’Avvocato Agnelli, consigliere di amministrazione e consulente legale della società, si è invece detto “tanto mortificato dopo sessanta anni di professione di trovarmi in questa sede nella qualità di imputato”.

IL FATTO. La vicenda è cominciata nel 2002, in un periodo di profonda crisi per la Fiat, con la sottoscrizione di un prestito “convertendo” da tre miliardi di euro con un gruppo di banche: se Ifil non fosse stata in grado di restituire il finanziamento, le banche avrebbero ottenuto il controvalore del prestito in azioni dopo un aumento di capitale. Il controllo della Fiat da parte della famiglia Agnelli (intorno al 30,5 per cento della società) era a rischio: la loro quota azionaria sarebbe stata diluita.

Quindi nel 2005, in vista della scadenza del prestito, qualcosa inizia a muoversi, in primavera avviene un rastrellamento di azioni Fiat a prezzi bassi e gli analisti dubitano che qualcosa stia avvenendo. La Consob chiede a Ifil (divenuta poi Exor) di chiarire. In un comunicato del 24 agosto la finanziaria di casa Agnelli “precisa di non aver intrapreso né studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo”, ma meno di un mese dopo il consiglio d’amministrazione annuncia l’acquisto di 82,25 milioni di azioni da parte dell’Exor Group “riveniente a seguito di un’operazione finanziaria (equity swap) pattuita tra Exor Group e Merrill Lynch International”.

L’INDAGINE. Nel frattempo però, allarmati dalle notizie diffuse dai media e dall’istruttoria avviata dalla Consob, il sostituto procuratore Giancarlo Avenati Bassi, l’aggiunto Bruno Tinti e l’allora procuratore capo di Torino Marcello Maddalena, chiedono informazioni alla autorità di controllo della Borsa e avviano un’indagine. Secondo loro il comunicato del 24 agosto era falso e ha nascosto all’Autorità garante della borsa e agli azionisti le reali intenzioni, manipolando il mercato e permettendo a Ifil, tramite la controllata Exor Group, di acquistare le azioni e mantenere la quota societaria.

I PROCESSI. Dopo l’assoluzione nel processo di primo grado la Corte di Cassazione nel giugno 2012 annulla la decisione nei confronti di Gabetti e Grande Stevens e rinvia gli atti alla Corte d’appello. All’apertura del processo il pm Avenati Bassi chiede di nuovo la condanna degli imputati rispettivamente a due anni e due anni e mezzo, più 700mila euro di risarcimento danni da parte delle società responsabili, Exor e Giovanni Agnelli sapaz. La difesa chiede l’assoluzione, anche in forza a una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 gennaio scorso secondo la quale gli imputati, già condannati a una sanzione amministrativa dalla Consob, non potevano essere processati due volte per lo stesso fatto secondo il principio del “ne bis in idem”.

La Corte d’appello però non ne tiene conto, ritiene Gabetti e Grande Stevens responsabili dell’aggiotaggio, ma assolve le società Exor e la Giovanni Agnelli sapaz e rigetta le richieste di risarcimento di due azionisti e della Consob: “Mi stupisco – ha affermato l’avvocato Emanuela Di Lazzaro, legale del garante -. È la prima volta che si riconosce un danno e la Consob non viene riconosciuta come danneggiata”.

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