Mancano, fortunatamente, le implicazioni ambientali, i problemi dovuti all’inquinamento. Ma Florange, una cittadina della Mosella, nell’Est industriale (e in crisi) della Francia è la Taranto di François Hollande. Poco più di 11mila abitanti, è uno dei principali centri di produzione siderurgici del Paese. Ma i due altiforni della centrale, proprietà di ArcelorMittal, sono ormai spenti da quattordici mesi. E, nei giorni scorsi, i vertici del gruppo, numero uno dell’acciaio a livello mondiale, nelle mani del magnate indiano Lakshmi Mittal, hanno ammesso di non avere alcuna intenzione di riaprirli: vogliono chiudere e basta, conservando solo i laminatoi, situati lì accanto, che fabbricano il prodotto finito. Sotto pressione da parte del Governo, però, hanno lanciato un ultimatum, concedendo al Governo 60 giorni per trovare un concorrente interessato a rilevare l’attività liquida. Tra le opzioni iniziano perfino a girare voci su un possibile coinvolgimento del gruppo Riva, alle prese con il problema dell’Ilva. La vicenda, in ogni caso, si sta trasformando in un delicato banco di prova per Hollande. E per le sue promesse di salvaguardare il futuro industriale della Francia.

In vendita ci sono, oltre gli altiforni, la cokeria, che produce il combustibile: si tratta in tutto di 629 lavoratori sui 2.500 totali, anche se il numero lievita decisamente se si considerano operai e tecnici interinali e soprattutto le aziende esterne subfornitrici. Mister Mittal, in realtà, dopo aver incassato per vari anni generosi sussidi pubblici, vorrebbe chiudere. In Europa la domanda di acciaio è ormai calata del 25% rispetto al pre-crisi, a causa del tracollo dell’industria dell’auto e delle costruzioni. Il colosso indiano produce acciaio in tutto il mondo e vuole limitare la fabbricazione a livello mondiale, così da ridurre l’offerta e impedire un ulteriore calo dei prezzi del prodotto. Nel vicino Belgio ha già proceduto alla chiusura definitiva di altri altiforni, senza ricercare eventuali altiforni. Ma in Francia Florange, ultimo impianto sopravvissuto di fabbricazione dell’acciaio grezzo in Lorena, è diventato un simbolo. Lo scorso 27 settembre Mittal è stato addirittura convocato all’Eliseo dal Presidente.

Alla fine qualcosa ha ceduto, anche se la partita appena aperta si annuncia difficile, difficilissima. “Ci dicono che, per far guarire un malato, bisogna tagliare un braccio – ha sottolineato Frédéric Weber, sindacalista della Cfdt -. E’ assurdo. La decisione da parte dei dirigenti di vendere gli altiforni e la cockeria è solo un modo per mettere le mani avanti”. Insomma, prima o poi ArcelorMittal cederà l’intero complesso di Florange. D’altra parte la “concessione” di Mittal è relativa. I vertici del gruppo hanno già precisato che non venderanno le attività liquide per un euro simbolico (tenendo conto che, fra l’altro, nuovi investimenti sono necessari: per tutto il complesso, inclusi i laminatoi, pochi mesi fa erano stimati fra i 450 e i 600 milioni di euro), come Hollande aveva chiesto all’indiano. Non solo: i laminatoi di ArcelorMittal non si riforniranno di acciaio e di coke presso gli impianti in vendita dello stesso complesso, se davvero un concorrente ne prenderà possesso, perché gli indiani assicurano di avere già una sovrapproduzione in altri altiforni e cokerie del gruppo. Infine, il Governo sta cercando eventuali partner, ma il negoziato dovrà essere condotto da ArcelorMittal, che dovrà dire l’ultima parola sul prezzo.

Insomma, a queste condizioni chi comprerà? Arnaud Montebourg, ministro del Risanamento produttivo, si è già messo in moto, assieme a un esperto nominato dall’Esecutivo, Pascal Faure, che ha iniziato la caccia. “Stiamo contattando gruppi siderugici in una decina di Paesi”, ha detto, senza aggiungere altro. Si parla di colossi austriaci, tedeschi e russi: tutti, comunque, in difficoltà. Ma anche di Riva: lo indica pure un articolo pubblicato oggi sul sito del periodico economico L’Usine nouvelle (gli italiani, nel caso di un arresto definitivo della produzione in Puglia, potrebbero sostituirla con Florange). Altro nome che “gira”, Tata Steel, ancora degli indiani. Fabbricano binari ferroviari a pochi chillometri dalla centrale di Florange. Ma anche loro dispongono in Europa di una capacità produttiva eccessiva e importano in Lorena acciaio dai propri impianti inglesi.

A Florange e a Parigi, diffidenza e sconforto prevalgono. Tanta rabbia, anche. Il Pcf chiede addirittura che ArcelorMittal renda i contributi pubblici intascati dallo Stato francese negli ultimi anni. Altri (le forze più diverse, dai sindacati più legati alla sinistra alla stessa Marine Le Pen, la zarina dell’estrema destra) domandano al Governo di nazionalizzare gli impianti in vendita, altiforni e cokeria. Va detto che, se Mister Mittal si è sbrigato a concedere a Hollande i 60 giorni, è anche perché i socialisti stanno elaborando un progetto di legge che sarà presentato a breve. E che prevede, nel caso di un gruppo che voglia liberarsi di attività giudicate ancora redditizie (pure solo potenzialmente), l’obbligo a metterle in vendita. La legge, che dovrebbe essere approvata entro la fine dell’anno, potrebbe prevedere la possibilità di rilevare in certi casi gli stabilimenti in questione a un euro simbolico. ArcelorMittal si è presto convinta a vendere. 

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