Il consulente della procura accusato d’aver intascato una “mazzetta” da 10mila euro. Il responsabile dell’Arpa, Giorgio Assennato, che diventa un obiettivo da “distruggere”. Le ispezioni della Commissione ministeriale che devono essere “pilotate”. Non soltanto inquinava, l’industria della famiglia Riva, ma adottava un sistema volto a eludere i controlli, a condizionare le verifiche, a premere sull’Agenzia regionale, sulla Regione e sul Governo, per non subire danni. Il motore di queste operazioni, secondo l’accusa, è il dirigente dell’Ilva Girolamo Archinà, in grado anche di “ricevere notizie riservate – in quanto coperte dal segreto istruttorio – sull’andamento delle indagini”. Gli indagati ormai sarebbero una dozzina.

Il maquillage dell’azienda
Il gip Patrizia Todisco aveva già sottolineato come, tra il 2003 e il 2006, l’Ilva avesse firmato ben quattro atti d’intesa “volti a migliorare le prestazioni ambientali” operando, invece, soltanto un inefficace “maquillage”. Il sistema partiva dall’interno dell’industria: Todisco segnala che quattro responsabili delle aree, “forti del sostegno della ‘proprietà’ e ossequiosi alle indicazioni che ricevevano”, cedevano “alla logica del profitto personale” e reprimevano “ogni rigurgito di coscienza”. Ma nell’informativa redatta dalla Guardia di Finanza si trova anche di più. Man mano che l’inchiesta della procura va avanti, che l’Arpa diventa più esigente, il sistema si muove all’esterno, decide di corrompere il consulente della procura, professor Lorenzo Liberti.

E la Gdf scopre che Girolamo Archinà , dirigente dell’Ilva, passa a Liberti, in un autogrill di Acquaviva delle Fonti, una busta che – secondo l’accusa – contiene 10mila euro in contanti. “Rappresenta la classica mazzetta”, scrivono gli investigatori, sottolineando che Liberti, “alcune settimane prima, aveva consegnato una relazione preliminare che allontanava il sospetto che l’inquinamento da diossina (che aveva contaminato le pecore delle terre vicine, ndr) potesse essere opera dell’Ilva”. Poi la Gdf aggiunge: “E’ assolutamente pacifico che l’Ilva, alla luce della perizia del consulente, sia stata favorita nell’ambito del procedimento penale (…) sull’inquinamento da diossina nelle aree circostanti lo stabilimento, come è altrettanto evidente che la somma che Liberti ha ricevuto da Archinà rappresenti il compenso, o parte di esso, che l’Ilva gli ha riservato per gli esiti della predetta consulenza”.

Dagli atti, però, si scopre che la vicenda è ben più surreale. Liberti detiene infatti il 20 per cento della “T&A Tecnologia e Ambiente S.r.l“, al pari del suo collega Gianluca Intini, che figura come amministratore delegato. E tra i clienti della società figura proprio l’Ilva che, negli scorsi anni, ha commissionato alla T&A un “parere pro veritate”. Se non bastasse, si scopre che Archinà ha accesso alla sede di T&A, nel 2010, mentre Liberti è consulente della procura. Lo stesso Liberti che, sui campioni di diossina, mentre viene intercettato commenta: “Va bè, noi non ci formalizziamo, perché ripeto: se lì si trova diossina, allora tutte queste informazioni saranno importanti. Probabilmente ne chiederemo, se non ci sta perdiamo tempo! Insomma, evidentemente, il colpevole sta altrove e noi continuiamo ad accanirci con questi [l’Ilva, ndr) e nel frattempo poi chi ha preso i soldi scappa con il bottino da qualche altra parte (…)”.

“Lacosa si sta incasinando”
Il 4 giugno 2010 Archinà incontra Liberti proprio alla T&A, annotano gli investigatori, spiegando che il dirigente dell’Ilva era assolutamente “padrone” dei luoghi, “segno evidente della perfetta conoscenza degli uffici della Te.TA S.r.l. e delle persone che vi stazionavano abitualmente”. E quando viene informato che la procura di Taranto, sulla vicenda della diossina, ha optato per un incidente probatorio, Liberti dice al suo collega Maurizio Notarnicola: “La cosa si sta incasinando (…). Hanno mandato l’avviso di garanzia a tutti quanti, anziché archiviare”. “Lasciando trapelare – scrive l’accusa – il malcontento sulla gestione della vicenda da parte del magistrato”. La Gdf controlla i conti in banca del consulente e verifica che, in pochi mesi, il passivo passa da 8 a circa 20mia euro, segno che Liberti ha effettivamente una grande necessità di denaro e che la “mazzetta” è quindi compatibile con la sua vicenda personale. Il sistema Ilva, per quanto ricostruito dall’accusa, non si limitava però alla sola corruzione di Liberti. Si prova anche ad “ammorbidire” alcuni componenti della Commissione ministeriale.

Le tangenti
Il tramite è sempre Archinà che, per quanto riguarda i rapporti con la Commissione, si affida a Vittoria Romeo. Quando si teme un nuovo intervento dell’Arpa – del quale Archinà è già informato – gli inquirenti intercettano una conversazione tra Romeo e Fabio Riva: “Allora – dice Romeo a Riva – dicevo ad Archinà, se Palmisano, che è quello della Regione, tira fuori l’argomento in Commissione, siccome l’Arpa deve ancora dare il parere sul barrieramento, e a noi ci serve un parere positivo per continuare a dire che non dobbiamo fare i parchi (…) siccome c’è l’Arpa al tavolo non vorrei che quelli prendessero spunto … per fare un parere negativo”.

“E’ chiarissimo!”, risponde Riva, “Però siccome noi non possiamo coprire i parchi perché non è fattibile… Tanto vale rischiarla così”.

Risponde Romeo: “Però, dico, scusi, valutiamo se la cosa in questi giorni, la teniamo a livello di Ticali, Pelaggi, Mazzoni (rispettivamente presidente e membri della commissione ministeriale Ipcc)… oppure…”. I rapporti con Luigi Pelaggi, capo dipartimento del ministero dell’Ambiente, sono confermati dall’intercettazione dell’avvocato dell’Ilva, Franco Perli, il quale dice a Fabio Riva che “non avranno sorprese”, che “la visita della Commissione allo stabilimento va un po’ pilotata”, che “è stato contattato da Pelaggi” e “la Commissione ha accolto il 90 per cento delle loro osservazioni e che la visita riguardava il restante 10 per cento”.

L’accusa scrive che Archinà si è “accordato con Palmisano che è un funzionario della Regione Puglia, incaricato di rappresentare l’ente nelle riunioni della conferenza dei servizi presso il Ministero dell’Ambiente, finalizzate ad istruire la pratica per il rilascio dell’Aia. Dalle telefonate si rileva che l’intervento dell’Archinà verso il predetto Palmisano sia stato finalizzato a sensibilizzare quest’ultimo nel dare una mano all’Ilva sia in occasione dell’ispezione presso lo stabilimento, sia nel corso della prossima conferenza dei servizi, sollevando questioni che poi, in maniera strumentale, verranno utilizzate dai tecnici e consulenti dell’Ilva per alleggerire alcuni adempimenti e, nel contempo, forzare la mano alla Commissione”.

da Il Fatto Quotidiano del 17 agosto 2012

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