Non mollare sulla Sea. Questo il messaggio che i sindacati milanesi hanno deciso di recapitare a Pisapia a chilometro zero: per tutto il mese di giugno, infatti, i lavoratori dell’aeroporto saranno in presidio permamente davanti a palazzo Marino, mentre ai terminal lombardi il 22 di giugno sarà sciopero generale per 24 ore. Tutto per chiedere al sindaco e alla giunta di fermare la vendita della società aeroportuale e valutare soluzioni alternative, a partire dalla quotazione in Borsa che eviterebbe di perdere controllo pubblico e dividendi. Due facce della stessa medaglia sulla quale da sei mesi è impresso il profilo dell’imprenditore Vito Gamberale che a dicembre 2011 s’è aggiudicato un terzo delle quote (27,9%) in circostanze sulle quali indaga la Procura di Milano. Il suo fondo, F2i, resta l’unico formalmente in corsa per acquisire le altre quote (50,1%) che la giunta arancione intende mettere a gara entro dicembre, così da inserire l’incasso nel bilancio del 2013. Il percorso resta però accidentato tra un fantomatico referendum cittadino e le manovre dietro le quinte per mandare l’operazione in porto e (negli ultimi giorni) tentare abboccamenti con altri fondi che possano dare alla nuova asta gli elementi di concorrenza che sono mancati alla prima, così da valorizzare al meglio l’operazione. Si parla ancora del fondo indiano Srei e si vocifera di un interesse da parte di Francoforte. Voci sulle quali cerca ora di imporsi quella di chi a Linate e Malpensa lavora ogni giorno, chiede di essere tutelato e di non servire ai privati una società pubblica che vale oro su un vassoio d’argento. Si può fare diversamente? Si può dare ossigeno alle casse del Comune senza cedere la Sea?

Per i sindacati si può eccome, e lo ribadiscono con megafoni e volantini nei quali è scandita una proposta precisa: lo scambio di azioni tra comune e provincia (che è incorso, dovrebbe andare in porto entro il 15 luglio) e la quotazione in Borsa fino al 35% delle azioni, così da mantenere la governance in capo al Comune che resterebbe primo azionista. L’incasso sarebbe certo minore rispetto alla vendita (dai 300 ai 400 milioni), ma si salvaguarderebbero le leve decisionali pubbliche sullo sviluppo del sistema aeroportuale lombardo, sulle ricadute nel territorio e sull’occupazione che oggi impegna sui due scali 5mila lavoratori. “La quotazione potrebbe avvenire entro l’autunno mentre dalle azioni che rimarrebbero in capo al Comune si potrebbe avere una riserva da usare per le esigenze dell’amministrazione con dividendi annuali ipotizzabili tra 16 e 32 milioni”, si legge nel comunicato congiunto di Cgil-Cisl-Uil trasporti. Insomma, salvate la gallina e vendete le uova. Non manca nelle dichiarazioni dei sindacati una stoccata al Comune che a dicembre ha votato in consiglio un ordine del giorno che impegna l’amministrazione a non scendere sotto il 51% delle quote. “Non lo abbiamo chiesto noi, che infatti proponiamo di mettere quote sul mercato, ma quell’impegno è stato preso e ciascuno deve assumersi le sue responsabilità. Per ora gli incontri cui siamo stati invitati sono stati utili solo ad ascoltare decisioni già prese”, ribadiscono i sindacati. Più duro ancora l’attacco finale quando si parla delle tutele: “Con un referendum populistico si chiede ai cittadini se è meglio pagare le tasse o vendere la Sea per cucire la bocca a chiunque voglia discutere di opzioni diverse. E se a tutto questo aggiungiamo che su 1,8 miliardi di bilancio solo 15 milioni sono dedicati al Fondo per l’occupazione, misurariamo, nonostante i proclami, la distanza di questa giunta dal mondo del lavoro in una fase come questa”.

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