Attesa. Resta solo da aspettare la domenica sera per conoscere il nome del nuovo presidente di Francia. Intanto, nella periferia industriale di Parigi, dove le fabbriche chiudono una dietro l’altra, la speranza è tutta rivolta a François Hollande, il favorito: riuscirà a invertire il declino dell’industria francese? Mentre a Parigi, nel quartiere dei ricchi, il sedicesimo arrondissement, un solo timore: quante tasse dovremo pagare?

Montataire, mezzora di treno a Nord di Parigi. E’ stata una delle culle della rivoluzione industriale francese. Poi, a lungo, meta di emigranti (anche italiani, fino agli anni Sessanta). Dopo i maghrebini. Pure tanti francesi, verso una zona di piena occupazione. Da una decina d’anni la situazione è degenerata. In questa cittadina di 12mila abitanti, la disoccupazione è salita al 25% della forza lavoro. Di tante imprese, quasi tutte del settore meccanico, sono rimasti solo capannoni abbandonati. Oppure sono già stati rasi al suolo per far posto a incerti progetti immobiliari. «Ci dicevano che la Francia doveva riconvertirsi nei servizi e nel turismo. Che l’industria era una roba antiquata», osserva Jean-Marc Coache, tecnico alla Still, produzione di carrelli elevatori. Chiusura prevista fine anno dopo 133 anni di attività. 255 lavoratori a spasso.

La loro storia? Linde, il gruppo tedesco allora proprietario della società, la vende sei anni fa al gruppo Kion, ancora tedesco sulla carta, in realtà controllato da diversi fondi d’investimento americani, Goldman Sachs in testa. Il finanziamento è assicurato da un Lbo (Leveraged buy-out): si paga quasi tutto a prestito, indebitandosi con le banche, puntando dopo qualche anno a una quotazione in Borsa. Peccato che nel 2008 sia arrivata la crisi finanziaria… Kion non ha più potuto onorare i pagamenti, nonostante che Still, solo una delle sue controllate, non risentisse della crisi. E continuasse a macinare utili e nuovi ordinativi. «Sono andati a trattare con gli istituti di credito – racconta Coache, che è anche uno dei rappresentanti sindacali – e, per rinegoziare il debito, hanno dovuto presentare una ristrutturazione».

«Hanno deciso di sacrificarci: delocalizzeranno la nostra produzione a Luzzara, in Piemonte, dove Kion ha già uno stabilimento», precisa Jean-Michel Mlynarczyk, altro rappresentante dei lavoratori. Costo del lavoro più basso in Italia? «Di poco», continua il sindacalista. Un problema le 35 ore lavorative settimanali applicate in Francia? «Dal 2006 abbiamo accettato di lavorarne 38,5 ore con lo stesso stipendio». Ebbene, François Hollande, pochi giorni fa, è sbarcato a sorpresa nella fabbrica. Se verrà eletto, ne farà un caso nazionale. Il simbolo di un Paese dove il manifatturiero ormai conta solo per il 14% del Prodotto interno lordo, contro il 23% in Italia e il 30% in Germania. Mlynarczyk, fisicamente una sorta di gigante, si è piantato davanti al candidato, spiegandogli la situazione, senza tanti giri di parole. «Ci ha ascoltato: ha promesso di trovare una soluzione». Jean-Michel e gli altri sono alla ricerca di un imprenditore che rilevi lo stabilimento. Sui 50 anni, non vogliono restare disoccupati fino alla pensione. Né finire al Carrefour o in un call center. «Hollande ci ha detto che, se sarà eletto, noi sapremo dove abiterà. All’Eliseo, ovviamente. Non si preoccupi Monsieur Hollande, andremo a trovarlo». Sperando che lo scrutinio di domani vada come deve andare.

Ritorniamo a Parigi. Un austero edificio su avenue Henri Martin, nell’Ovest (ricco) della città. Un breve momento di riposo per il sindaco del sedicesimo arrondissement e deputato dell’Ump, il partito di Sarkozy, Claude Goasguen. «Stiamo facendo campagna fino all’ultimo momento», assicura. E dire che al primo turno questo arrondissement di Parigi ha già votato in massa per il Presidente uscente, il 65% dei consensi. «Ma ci sono ancora degli indecisi : devono votare per Sarkozy».

Goasguen fuma un sigaro dietro l’altro. Si toglie la cravatta. Dice di avere paura per la Francia. «Hollande vuole rinegoziare il fiscal compact, che è un trattato di rigore e che ci permetterà di superare la crisi. Con lui avremmo solo più problemi sociali e più tasse». D’altra parte ha già detto che aumenterà l’aliquota sui redditi annui superiori al milione di euro al 75%: «A pagare saranno i soliti noti, quelli che lavorano, come la classe medio-alta che vive nel mio arrondissement, in un Paese dove, a forza di sgravi ed eccezioni per tutti, solo il 50% dei cittadini paga davvero le imposte». Un mese fa ha tirato fuori un problema secondo lui «di vitale importanza per il futuro»: creare un registro dei cittadini binazionali, di chi, soprattutto fra gli immigrati maghrebini, ha la doppia nazionalità. «Il nostro Paese deve incitare queste persone a fare una scelta – precisa –: la nazionalità non si condivide». In tanti l’hanno accusato di fare l’occhiolino al Front National di Marine Le Pen. «Non è vero. Sono contrario a qualsiasi alleanza con quel partito. L’Fn vuole che la sinistra vinca e che noi perdiamo. E’ assurdo. Vogliono più immigrati? Più francesi assistiti?».

Note sono le diatribe fra Goasguen e il sindaco di tutta la metropoli parigina, il socialista Bertrand Delanoe. «Ha svuotato la città delle imprese, della gente normale. Ha fatto di Parigi una città di bobos» Sono i bourgeois-bohème, ceto abbiente con idee progressiste e il portafogli ben fornito. «I privilegiati di sinistra, egoisti, elitisti. Sono gli elettori di Hollande».

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