In un Paese che Monti vorrebbe già iper liberista e dove la prima piaga da combattere resta l’evasione fiscale, il governo si dice pronto a immolarsi sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma non muove un muscolo per ripristinare il reato di falso in bilancio. Francesco Greco, procuratore aggiunto di Milano, davanti alla Commissione giustizia della Camera, l’ha messa giù dura: “Non si può pensare di contrastare la corruzione e l’evasione fiscale senza lo strumento del reato di falso in bilancio”. È inutile, in buona sostanza, che ci si ostini a pensare di poter costruire una nuova cornice legislativa per la corruzione, senza, però, inasprire le pene per i corrotti e senza ripristinare quanto cancellato da Berlusconi. Anche perché “la legislazione sulla trasparenza contabile – ha sottolineato ancora Greco – ci è richiesta da tutti gli organismi internazionali che si sono occupati di criminalità organizzata”.

Pensare di farne a meno, dunque, è pura utopia. “A Milano – ecco l’esempio più calzante portato da Greco – le iscrizioni nel registro degli indagati per il reato di falso in bilancio sono passate da 146 del 2000 con 54 rinvii a giudizio a 8 del 2012 con zero rinvii a giudizio; è la migliore dimostrazione di una riforma che funziona, non ci sono più reati”. D’altra parte, è la cronaca quotidiana che ci dimostra dell’esistenza ancora molto forte di un problema di falsificazione dei bilanci e per Greco, che a Milano gode ultimamente di un panorama particolarmente vivace sull’argomento, l’idea è quella che “sia dimostrabile un trend in aumento della criminalità economica” con un incremento del “180% delle frodi fiscali e dell’80% delle bancarotte”.

Negli ultimi tre anni, ha spiegato Greco, i reati per criminalità economica “sono cresciuti del 35% e tutti presuppongono una copertura contabile. Ad esempio, per l’esportazione di capitali è necessario un occultamento in bilancio di fondi neri; il bilancio è la carta d’identità di una società, così come pretendiamo che tutti i cittadini abbiano una carta d’identità anche le società devono avere un documento di riconoscimento corretto”.

La legalità economica, secondo Greco, “è il principale fattore di crescita di un Paese”. Perché è attraverso questa carta – e non certo attraverso la licenziabilità più facile dei lavoratori – che si attirano i capitali e gli investimenti stranieri sul territorio nazionale. Così come non è possibile esimersi, sempre secondo Greco, da una capillare lotta alla corruzione senza incidere sui tempi di prescrizione. Dice, a questo proposito, il procuratore di Milano: “Credo che sia necessario che per i reati di corruzione si superino i tempi di prescrizione attuali fissati in sette anni e mezzo; la concussione è un problema marginale, non è il centro del problema se vogliamo lottare contro la corruzione”, perché “se oggi scopro un reato di corruzione commesso nel 2005, è in prescrizione; se fai una grande riforma ci metti dentro anche la concussione, se devi fare una piccola riforma perché i tempi non ci sono, allora bisogna tener conto dei punti nevralgici”.

Ecco perché anche a parere di Di Pietro, riproporre come priorità la riforma del falso in bilancio “è più urgente per ridare fiducia al Paese degli interventi sull’articolo 18”. Ma il Pdl ieri ha annusato l’aria in Commissione giustizia e ha capito che la situazione sta per precipitare. Dal loro punto di vista, ovviamente. La ministra della Giustizia Severino, è infatti decisa a imprimere un’accelerata al ddl corruzione lavorando in commissione la parte “più delicata” del provvedimento a partire dalla settimana che inizia il 16 aprile, ossia le misure di prevenzione e di quelle penali. Intanto, venerdì prossimo la guardasigilli ha convocato i capigruppo alla Camera per discutere di tutto il pacchetto giustizia (dl anti-corruzione, responsabilità civile dei magistrati intercettazioni). In via dell’Umiltà hanno subito drizzato le antenne, timorosi che il governo possa “forzare la mano” e dar vita a un testo “precofenzionato” proprio su questi temi così cari a Silvio Berlusconi. “Non accettiamo nulla a scatola chiusa”, ha subito messo le mani avanti Cicchitto, ma di certo i tecnici pidiellini si vedranno prima del vertice con la Severino per decidere le prossime mosse. “Sia chiaro – tuonava ieri alla buvette della Camera uno dei maggiorenti di via dell’Umiltà – noi non accettiamo cambiali in bianco!”. Il tutto mentre Francesco Greco e Antonio Di Pietro da un lato sorbivano un caffè e dall’altro Aldo Brancher e Denis Verdini parlavano tra loro fitto fitto. Guardandosi le spalle.

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