Abdoulaye Wade

Ore di febbrili contatti diplomatici a Dakar per scongiurare che il voto di domenica 26 febbraio crei una situazione di ingovernabilità e disordine in uno dei paesi africani di più lunga e stabile democrazia. Olusegun Obasanjo, ex presidente nigeriano, capo della delegazione degli osservatori dell’Unione africana, ha consegnato ai leader del movimento di opposizione M23 una road map che prevede, in caso di rielezione, che Abdoulaye Wade rimanga al potere solo due anni. Mentre si moltiplicano gli appelli a favore della trasparenza delle votazioni: il deputato europeo Thijs Berman, alla testa della missione di 90 osservatori Ue, ha deplorato il ritardo nella consegna di 500mila schede elettorali a Touba, feudo della potente confraternita dei muridi. E il cardinale Théodore Adrien Cardinal Sarr, arcivescovo di Dakar offre la sua mediazione fra le forze di opposizione e il potere. Che l’attuale capo di Stato si ostina a mantenere nelle mani.

Non era giovanissimo, aveva già 74 anni, Abdoulaye Wade quando, nel marzo 2000, è stato eletto presidente del Senegal ponendo fine a quarant’anni d’interrotto governo socialista: i suoi predecessori Léopold Sédar Senghor e Abdou Diouf avevano “regnato” un ventennio a testa. Tempi passati. Il liberale Wade, che ha vinto sbandierando la parola d’ordine “sopi” (cambiamento in lingua wolof ), si dimostra, a sua volta, quanto mai resistente a farsi da parte e, a 86 anni, è in lizza per ottenere un terzo mandato alle elezioni del 26 febbraio.

La sua volontà di ricandidarsi (per poi passare il testimone al figlio Karim, già titolare di diversi ministeri) ha infiammato le piazze suscitando durissime reazioni, soprattutto nei giovani del movimento Y’en a marre, ispirati a mobilitarsi dal gruppo rap Keur Gui. I primi violenti scontri incendiano la capitale Dakar nel giugno scorso e ottengono il risultato di bloccare un progetto di legge che avrebbe permesso a Wade la rielezione con solo il 25 per cento dei voti. Da allora fra il “gorgui” (vecchio) presidente e il largo fronte della contestazione che si riconosce nel M23, movimento 23 giugno, è guerra aperta. Senza esclusione di morti. «Nelle ultime due settimane 14 senegalesi sono stati uccisi dalla polizia per ordine del presidente e del suo ministro degli Interni» denuncia il 23 febbraio in un comizio Moustapha Niasse, candidato della lista Benno Siggil Senegal e, nel 2000, alleato di Wade che lo nominò primo ministro.

Fra i tredici che domenica sfidano lo strapotere di “gorgui” c’è una sola donna (l’imprenditrice Diouma Dieng Diakhaté) e altri due ex primi ministri. Idrissa Seck, attuale sindaco di Thies, estromesso nell’aprile 2004 dall’incarico di premier, ha combattuto contro Wade nel 2007 arrivando secondo con il 14,92 per cento dei voti. Macky Sall, direttore della campagna presidenziale nel 2007, ha rotto nel novembre 2008 con il vecchio leader e ora è il concorrente a cui vengono attribuite maggiori probabilità di sconfiggerlo.

Il fronte dell’opposizione non si presenta unito: sono tante le anime all’interno del M23, sotto la cui bandiera si ritrovano giovani rapper e politici di lunga militanza, disoccupati (non ha lavoro il 47 per cento della popolazione attiva) e uomini d’affari stanchi di clientelismo, sindacalisti e massaie alle prese con l’aumento dei prezzi. Il movimento non è stato in grado di coagulare il consenso di tredici milioni di senegalesi su un unico sfidante e alla fine ogni candidato corre per sé.

Chissà se ce l’avrebbe fatta Youssou N’Dour, popolare cantante da sempre impegnato nel sociale: la sua candidatura, che ha suscitato grande entusiasmo, è stata rifiutata dalla Corte costituzionale il 27 gennaio. Lo stesso giorno i cinque saggi della Corte, tutti di nomina presidenziale, hanno però dato il via libera ad Abdoulaye Wade per il suo terzo mandato. La rabbia degli oppositori si scatena in giornalieri bracci di ferro con la polizia, incendi, attacchi alle sedi del Pds, partito democratico senegalese, fondato da Wade nel 1974. I manifestanti di M23 si vedono negata la possibilità di sfilare nella grande piazza de l’Indépendance, cuore strategico di Dakar, presidiata dai poliziotti. In uno degli scontri, il 21 febbraio Youssou N’Dour è ferito a una gamba durante un corteo di avvicinamento alla piazza.

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