Alle prime luci dell’alba di oggi, i ribelli avevano annunciato: “In poche ore entreremo a Bani Walid”. Ma non è andata così.

Durante il tardo pomeriggio la radio degli insorti “Lybia Hurra” (che vuol dire Libia libera) aveva annunciato la presa della città, ma la notizia è stata poi smentita. In primo luogo da due giornalisti, un inviato della Reuters che si trova sulla linea del fronte, a circa 60 chilometri a nord della città e uno della France Press: entrambi hanno precisato che i negoziati tra i ribelli e i capi tribali di beni Walid sono ancora in corso. In serata il Consiglio nazionale transitorio ha addirittura fatto sapere che “le trattive con i capi della tribu Warfalla di Bani Walid sono falliti e non riprenderanno. L’ultimatum fissato ieri scadeva questa mattina alle 10 ora italiana.

La guerra, in ogni caso, non sarà finita fino a quando non si troverà Muammar Gheddafi. E se fino a ieri il sospetto era che il raìs si trovasse proprio nella cittadina a sud est di Tripoli, oggi che invece di lui non c’è traccia gli insorti fanno comunque sapere di conoscere il luogo in cui si troverebbe il Colonnello. Lo ha dichiarato, secondo il canale satellitare Al Jazira, il capo militare degli insorti a Tripoli, Abdul Hakim Belhaj, che però non ha aggiunti altri dettagli. I ribelli, secondo quanto riportato dalla Bbc, si dicono anche sicuri che uno dei figli del rais, Khamis Gheddafi, sia morto il mese scorso e sia sepolto proprio a Bani Walid.

Nella loro avanzata, intanto, i combattenti del Cnt stanno effettuando moltissimi arresti di massa nei confronti di persone, soprattutto provenienti da Ciad, Sudan, Niger e Mali, accusate di essere mercenari al soldo del regime. E a questo proposito è arrivato il monito di Human Rights Watch, che ha chiesto al Cnt di rilasciare quanti vengono detenuti solamente in base al colore della loro pelle.

Intanto, l’Onu, per bocca dell’inviato speciale per la ricostruzione della Libia Ian Martin, invita i nuovi governanti ad avviare al più presto il processo elettorale nel Paese. Martin si è dichiarato anche “preoccupato” per la quantità di armi che circolano nel Paese e auspicato la formazione di una “autorità di sicurezza pubblica”.

Ma la situazione interna in Libia è tutt’altro che tranquilla. E c’è già chi accusa lo stesso Cnt di essere composto da ex sostenitori del dittatore. Lo fa, ad esempio, il comandante militare integralista di Bengasi, Ismail al-Salabi, che guida una forza di circa 3mila uomini e secondo cui coloro che fanno parte del comitato “sono tutti esponenti del vecchio regime” e perciò dovrebbero “dimettersi tutti, dal vertice della piramide alla base”. Al-Salabi ha combattuto in passato anche in Afghanistan ma nega ogni legame con gruppi integralisti fuori dalla Libia, come i talebani o Al Qaida. “Ci sono laici che hanno la loro personale agenda e che vorrebbero ritrarci come estremisti per escluderci dalla comunità internazionale e causare una divisione che sarebbe utile solo al tiranno”, ha aggiunto.

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