Mafia. Un fenomeno sempre più globale. Il primo a parlarne è stato Giovanni Falcone nel 1990. Il primo a capire che le mafie, per sopravvivere e prosperare nel nuovo millennio avrebbero dovuto diventare internazionali. Oggi al Parlamento europeo si comincia a discutere di una strategia europea per contrastare il crimine organizzato in tutta l’Unione europea.

Magistrati, funzionari, giornalisti e politici di tutta Europa ne hanno parlato in un congresso al Parlamento europeo organizzato da Sonia Alfano, eurodeputata IdV, relatrice di una relazione d’iniziativa sulla “criminalità organizzata nell’Unione europea” che verrà votata in commissione libertà civili, giustizia e affari interni. L’obiettivo è spingere la Commissione europea a redigere una direttiva comunitaria che definisca chiaramente le caratteristiche e individui gli strumenti per combattere la criminalità organizzata nell’Ue. Insomma la decisione quadro 2008/841 del GAI non basta più. C’è bisogno di “una direttiva volta a rendere punibile in modo uniforme in tutti gli Stati membri il reato di associazione mafiosa”, si legge nella relazione della Alfano. “Il problema è anche di Paesi come Olanda, Belgio, Germania e Spagna, dove le mafie italiane sono ben radicate”, aggiunge l’Alfano.

Ma quali sono le misure suggerite in Europa? Prima di tutto una maggiore cooperazione tra Eurojust, l’Ufficio europeo anti frodi (Olaf) ed Europol, che dovrebbero essere dotati di maggiori mezzi e poteri per condurre le proprie indagini. Fondamentale, a questo proposito, sarebbe l’istituzione della super Procura europea così come previsto dall’articolo 86 del trattato di Lisbona. Il tutto con una formazione mirata a magistrati e forze dell’ordine europea per contrastare il cosiddetto “capitalismo mafioso” che non consce né bandiere né confini.

Secondo Antonio Ingroia, procuratore aggiunto antimafia di Palermo, “il capitalismo criminale è un sistema di potere che è in grado di interagire con gli altri poteri legittimandosi reciprocamente”. “Anni di sottovalutazione hanno fatto si che la mafia diventasse quello che è oggi. C’è un vuoto di volontà politica che solo l’Europa può colmare”. Ma per questo Ingroia ritiene che ci voglia “un coordinamento a livello europeo con a capo un procuratore europeo”. Proprio su come dovrà funzionare la futura Procura europea la commissione Controllo dei Bilanci del Parlamento europeo presieduta da Luigi de Magistris, ha recentemente commissionato uno studio.

“La mafia si è adeguata al sistema della domanda e risposta tipica della mondializzazione”, spiega Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta. “Dai servizi al cittadino, come prostituzione droga, a quelli alle imprese, ad esempio gestione di appalti e smaltimento di rifiuti tossici”. Proprio questo secondo tipo di criminalità, detta dei “colletti bianchi”, “ha generato un nuovo tipo di capitalismo misto, dove alcuni cartelli di imprese hanno creato dei veri e propri monopoli mafiosi”. “Sistemi imprenditoriali di potere con conseguenze per chi si ribella sia mafiose (violenza fisica) che politiche (inaccessibilità ai fondi pubblici, eccessiva burocrazia)”.

Uno dei sistemi che l’Europa finora ha individuato per contrastare il crimine organizzato, è costituito dal sequestro e dal riutilizzo a fini sociali dei patrimoni ad esponenti della malavita. Ma si tratta, per ammissione dello stesso Sebastiano Tiné, della Direzione Generale Affari interni della Commissione europea, di misure “di sicuro sottoutilizzate”. In Europa ci sono infatti 22 uffici di gestione per i beni sequestrati e ben 5 Paesi, tra cui l’Italia, hanno istituito delle agenzie nazionali di coordinazione. “Il problema è che il framework legislativo europeo è lacunoso”, dice Tiné, “e spesso non è implementato correttamente dagli stati membri”. Ad esempio in Italia la proposta legislativa di mettere all’asta i beni confiscati rischia di riconsegnare questi patrimoni proprio ai mafiosi tramite dei prestanome.

Ma l’Europa ha davvero la volontà politica di contrastare il crimine organizzato internazionale? La domanda sorge spontanea, dal momento che alcuni strumenti ci sono già ma non vengono valorizzati. Ad esempio l’Olaf, storicamente a corto di personale e dipendente da quale stessa Commissione europea che dovrebbe all’occasione investigare. E poi il coordinamento tra le forze di polizia nazionali è già previsto un’agenzia europea, l’Accademia europea di Polizia (Cepol) ma proprio questa si è vista respingere l’ok al bilancio interno 2009 dal Parlamento europeo per irregolarità dei conti. E poi la Procura europea, un’immensa struttura ancora tutta sulla carta della quale Eurojust rappresenta solo l’embrione. “Il Parlamento europeo in primis deve dare un segnale politico forte, di assoluta priorità nell’interesse dei cittadini”, afferma Sonia Alfano. Insomma Ingroia sembra avere ragione, ci vuole tanta “volontà politica”.’

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