Tasse, estorsioni e controllo delle fabbriche:
i frutti del territorio

di Gianni Rosini



Tasse, estorsioni e controllo delle fabbriche:
i frutti del territorio

di Gianni Rosini

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Circa la metà delle entrate totali dello Stato Islamico provengono da tasse, dazi ed estorsioni imposte alla popolazione locale. La struttura territoriale dell’organizzazione, peculiarità che la distingue dagli altri gruppi terroristici, è uno dei principali fattori che rendono Isis indipendente dalle donazioni estere, fonte di finanziamento primaria, invece, per la maggior parte dei movimenti radicali.

gli uomini di al-Baghdadi impongono tasse sulle proprietà, sui servizi, i beni di prima necessità e sulle operazioni commerciali

Come in una qualsiasi organizzazione statale, gli uomini di al-Baghdadi impongono tasse sulle proprietà, sui servizi, i beni di prima necessità e sulle operazioni commerciali. La tassazione applicata sui proventi delle vendite, le utenze, le compagnie di telecomunicazioni, i medicinali e il carburante si aggira intorno al 20%. A queste vanno aggiunte le imposte sui prelievi bancari, con una commissione del 5%, e le quelle sugli stipendi, circa il 50% su un giro da miliardi di dollari all’anno.

I jihadisti obbligano le famiglie a pagare anche le rette scolastiche: 22 dollari all’anno per ogni bambino iscritto alle scuole elementari, 43 per quelli che frequentano le scuole secondarie e 65 per coloro che decidono di iscriversi all’università. Lo Stato Islamico, poi, impone dazi per coloro che vogliono transitare nei territori controllati dalle bandiere nere: dai 200 dollari per il semplice attraversamento dei confini, fino agli 800 per i tir che contrabbandano i prodotti di Isis o per i corrieri che fanno passare illegalmente i fondi provenienti dalle donazioni estere. Tutte queste tasse trovano legittimazione, secondo i terroristi, nel concetto di Zakat, uno dei cinque pilastri dell’Islam, la donazione di una parte della propria ricchezza da parte di ogni buon musulmano come gesto di purificazione.
Oltre alle tasse ci sono le estorsioni. Come la Jizya, il pagamento di una somma di denaro imposto ai non musulmani o a coloro che si sono rifiutati di convertirsi all’Islam secondo i precetti imposti dal gruppo guidato da al-Baghdadi. A questa, poi, vanno aggiunti i prelievi forzosi dai conti correnti della popolazione e le razzie negli istituti bancari presenti all’interno del territorio. Le stime dicono che da quest’ultime, nelle sole aree di Tikrit, Mosul e Baiji, in Iraq, i jihadisti hanno guadagnato 456 milioni di dollari nel 2014. Soldi ai quali, poi, vanno aggiunti quelli recuperati dagli altri istituti bancari sparsi nei territori del Califfato tra Siria e Iraq. Dinari iracheni, lire siriane e, soprattutto, dollari americani dei quali i miliziani non possono fare a meno, nonostante abbiano deciso di coniare una nuova moneta: il dinaro d’oro.
L’esodo di massa di cristiani, Yazidi e altri “miscredenti” ha poi permesso allo Stato Islamico di entrare in possesso delle loro abitazioni. Centinaia di case ed edifici che gli uomini in nero utilizzano per svolgere le loro attività amministrative e militari o che affittano alla popolazione e ai foreign fighters che continuano ad arrivare da tutto il mondo.




Controllo del territorio vuol dire anche controllo delle fonti di produzione. Così, il concetto di Zakat viene applicato anche ad agricoltura, settore estrattivo e industria del cemento. Gli uomini in nero sequestrano buona parte degli scarsi raccolti e requisiscono i macchinari che poi affittano agli stessi agricoltori.

Gli uomini in nero sequestrano buona parte degli scarsi raccolti e requisiscono i macchinari che poi affittano agli stessi agricoltori

E la fetta di terreni in mano a Isis è ampia: i miliziani controllano il 40% delle coltivazioni di grano e il 30% di quelle di orzo in Iraq, mentre in Siria gestiscono il 50% della produzione nazionale di grano, con un profitto che si aggira intorno ai 200 milioni di dollari all’anno.

A questo, poi, vanno aggiunti i proventi dal controllo delle miniere di fosfati, come ad Akashat, o numerose fabbriche e centri di produzione di fertilizzanti e cemento, come ad al-Qaim, in Iraq. Se venduti a metà del prezzo di mercato, i prodotti provenienti da miniere e fabbriche in mano ai miliziani di al-Baghdadi possono fruttare ogni anno circa 650 milioni di dollari, divisi in 360 per fosfati e prodotti derivati e 290 per il cemento.