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Elezioni europee, alla fine in Ue l’Italia è quella che sta meno peggio

A tre mesi dalle Elezioni europee – l’Olanda e alcuni altri Paesi Ue andranno alle urne il 22 maggio, perché hanno un’idiosincrasia a votare la domenica; l’Italia e la maggior parte dei Paesi Ue il 26 -, il governo italiano, fra i Grandi dell’Unione, è quello che sta meno peggio. Lo so: può apparire sorprendente, ma è proprio così.

Intendiamoci: parliamo del governo, non del Paese. Ché non se ne potrebbe proprio dire lo stesso: tasso di crescita più basso nell’Unione, ormai alla soglia della stagnazione; tasso di disoccupazione, specie giovanile, in decrescita, ma sempre fra i più alti dell’Unione; debito pubblico record e tuttora in aumento; livelli di sfiducia, di corruzione, di evasione fiscale più alti di tutti i maggiori partner europei (e non solo).

E allora, perché il governo italiano è quello che sta meno peggio? Perché gode, stando ai sondaggi, d’un sostegno popolare nettamente più alto di quello che hanno nei loro Paesi il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del Consiglio spagnolo Pedro Sanchez.

Quest’ultimo è stato costretto, la scorsa settimana, a indire elezioni politiche anticipate il 28 aprile – un mese prima della “super-domenica” elettorale in cui confluiranno Europee e amministrative -, non avendo ottenuto la maggioranza sulla legge di bilancio per la defezione dei partiti catalani. Saranno le terze elezioni politiche in Spagna in meno di quattro anni, senza che nessuna abbia mai prodotto una maggioranza stabile.

In Italia, invece, la maggioranza stabile, almeno per il momento, c’è. Frutto non tanto delle elezioni, ché probabilmente a priori nessuno dei grillini pensava a un governo con i leghisti e viceversa, quanto delle condizioni verificatesi dopo il voto. E il sostegno alla maggioranza è più forte oggi che un anno fa: Lega e M5S, a posizioni invertite e quasi certamente con un fenomeno di osmosi, hanno oggi il 60% circa delle intenzioni di voto, contro oltre il 50% dei suffragi espressi il 4 marzo 2018.

Dunque, nonostante il caso Diciotti e le Tap/Tav, le autonomie regionali e i diversi destini (o almeno percorsi) europei, il governo italiano sta bene, se il termometro è l’appoggio popolare (estremamente volatile, è vero).

Altrove, non è così. In Germania, la Merkel pare vicina al passo d’addio: dopo la guida della Cdu, potrebbe anche lasciare quella del governo; e nei sondaggi la sua coalizione ha oggi meno del 50% delle intenzioni di voto (anche se la debolezza è più dei socialdemocratici che dei cristiano-sociali). In Francia, Macron resta la figura più popolare, ma solo un francese su quattro o su cinque è oggi pronto a votare per il suo movimento, in un panorama politico ancora più frastagliato che nel 2017 – presidenziali e politiche – e agitato dalle proteste dei gilet gialli, che di qui a maggio avranno stancato e disgustato l’opinione pubblica. Della Spagna – dove del resto Sanchez una vera e propria maggioranza non l’ha mai avuta – abbiamo già detto.

E, allora, dopo le Europee, i più deboli saranno i più forti? Attenzione! Questa è la lettura che Lega e M5S suggeriscono, forti dei risultati che sperano di conseguire in Italia. Ma per farsi valere nell’Unione bisogna avere interlocutori (tanti e pure giusti): sarà pur vero che popolari e socialisti non faranno più maggioranza da soli nell’emiciclo di Strasburgo, ma leghisti e grillini devono trovarne di alleati per contare qualcosa. Come forze politiche e come governo.