Uccisi e dati alle fiamme, nel Sinai nord-orientale, in Egitto. E’ la sorte che è toccata a diversi egiziani di fede copta, assassinati dagli uomini della branca locale dello Stato Islamico che da tre anni è attivo nella regione.

L’ultima vittima è un idraulico che, giovedì 23 febbraio, è stato ammazzato a colpi di arma da fuoco a casa sua davanti alla moglie e ai figli piccoli nella città di Al-Arish, situata nel Sinai del Nord, dove il giorno prima altri due uomini – padre e figlio, entrambi copti – erano stati ritrovati morti, uccisi sempre a colpi di arma da fuoco. Il cadavere del figlio era poi stato dato alle fiamme. Dopo questi omicidi e la diffusione domenica, 26 febbraio, di un video in cui alcuni ex miliziani del gruppo “Ansar Beit al- Maqdis”, ora affiliato all’Isis, indicavano i copti come la loro “preda preferita”, sono salite a 200 le famiglie copte che hanno lasciato il capoluogo al Arish per riparare nella città di Ismailia, 120 chilometri a est del Cairo.

Ma a essere colpiti dagli uomini dello stato islamico sono anche i “collaborazionisti”. Lunedì 27 febbraio, fonti locali presentatesi come testimoni oculari hanno riferito che gli uomini di al Baghdadi hanno “cavato gli occhi” a un giovane musulmano, Ahmad Hamed, poi bruciato vivo. L’episodio sarebbe avvenuto “a Rafah“, nel Sinai nord-orientale. Secondo i testimoni, il giovane è stato ucciso con l’accusa di essere un collaboratore delle autorità.

Il ministro degli Interni e dei servizi di sicurezza Magdi Abdel Ghafar, citato da al Ahram, maggiore quotidiano egiziano, ha detto che “il ministero non ha chiesto a nessun cittadino” che vive nel Sinai “di abbandonare la propria casa per recarsi in un’altra provincia”. Aggiungendo che “le forze di sicurezza stanno rispondendo al terrorismo” con operazioni militari. Il portavoce delle forze militari ha diffuso i dati secondo cui sarebbero almeno “500 i terroristi uccisi da settembre al mese scorso”.

Ma è l’esodo in atto che solleva le critiche all’esecutivo. Osama Ghazali Harb, editorialista, sulle pagine di al Ahram definisce una “vergogna” che sia in atto “una fuga di cittadini egiziani diventati profughi nel loro stesso paese”. Mentre Fahmi Hawadi, giornalista, si domanda sul quotidiano egiziano Shuruk se, “non essendo riusciti a portare avanti la loro vendetta contro la polizia”, i terroristi “hanno trovato nei copti il punto debole per prendere di mira il potere e dar fastidio?”

I copti in Egitto rappresentano il 10% della popolazione e sono la più grande comunità cristiana del Medio Oriente. Venerdì  24 febbraio, la Chiesa copta ha diffuso una dichiarazione, riportata anche dalla Associate Press, in cui ribadiva di di sostenere il governo nella sua guerra al terrorismo “importato in Egitto dall’estero” e il cui “scopo è colpire l’unità della nazione”.

Proprio la lotta al terrorismo è stato al centro dei colloqui di lunedì fra il presidente egiziano, generale Abdel Fattah al Sisi, e il comandante del comando centrale degli Stati Uniti, Joseph Votel, ricevuto al Cairo. Il portavoce della presidenza, l’ambasciatore Ala’a Yousef, ha sottolineato che durante il colloquio il “presidente ha chiesto di migliorare il coordinamento a livello internazionale per arrivare a una strategia comune per rispondere alle sfide”. Una richiesta alla quale Votel, continua il portavoce, ha risposto “riaffermando il desiderio degli Usa di rafforzare la cooperazione strategica con il Cairo”.

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