La valanga d’ascolti per Luisa Spagnoli, attorno agli otto milioni, pari a quella per Don Matteo e il Commissario Montalbano, ci ha riempito di personale vergogna perché, da maschi superficiali e ignoranti, di quell’eroina non sapevamo praticamente nulla. Salvo aver notato decenni fa che le compagne di scuola, col kilt e cotonate, parlavano con rispetto dei paradisi delle signore che inalberavano quel nome e cognome.

Poi leggiamo l’auditel, trasecoliamo e corriamo nell’ordine, prima su Wikipedia a capire chi lei fosse e poi su un sito ad assaggiare le due puntate di lunedì e martedì.
Scoprendo così che: 1) Luisa è stata nella sua non lunga vita attraverso Grande Guerra, Fascismo, Seconda Guerra Mondiale e Dopoguerra, un fenomenale genio del marketing che a Berlusconi se lo sarebbe bevuto in un sorso, perché qualsiasi cosa producesse partiva dalla psicologia del cliente, a cominciare dal Bacio Perugina, insuperabile dolce da rimorchio – a partire dal nome – con contorno di disimpegnata, ma, volendo, allusiva conversazione attorno al bigliettino con la frasetta. Roba da far impallidire il vecchio fazzoletto perduto per vedersi rincorrere; 2) che le imprese possono farsi storia quando sono ancora vive e non soltanto quando hanno terminato il loro ciclo (come è stato invece per la fiction su Adriano Olivetti ); 3) che divenendo materiale narrativo le medesime imprese possono spremere fino in fondo il “product placement“, cioè la possibilità legale di mostrarci marchi e prodotti intrecciati al racconto anziché schiacciati negli intervalli. Così l’emozione non si interrompe e la pubblicità neppure.

Il successo di Luisa è dovuto al pubblico femminile che, se in genere privilegia il romanzo in tv, stavolta si è mobilitato in misura davvero massiccia, con uno share del 37% (50% fra le meno giovani) mentre i maschi si arrestano al 20%. E poi, chissà perché, mentre l’ascolto si è spalmato con equilibrio fra le varie regioni, (prescindendo dall’ovvio 60% dell’Umbria, la patria di Spagnoli, di Perugia e della Perugina) colpisce l’avarizia della Lombardia e del Piemonte, ferme al 20% manco fossero abitate solo da maschi. Come se a spaccare il pubblico fossero intervenuti due fattori: il primo, chiamiamolo “fierezza femminile” per la figura di Luisa che, oltre al successo imprenditoriale, mostrava una piena emancipazione sul piano dei rapporti personali. La ritrosia di lombardi e piemontesi sembrerebbe invece rivelare una qualche ottusità padana nei confronti delle capacità imprenditoriali del resto del Paese. Figuriamoci poi se incarnate in una donna.

In questi squilibri sta tutta la differenza fra gli ascolti, pur simili per quantità, di Don Matteo e di Luisa Spagnoli: il primo placa le differenze, la seconda le esalta. Forse è ancora vero, Papa Francesco a parte, che la rivoluzione indossa la gonna e non la tonaca.

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