Saranno organismi marini che abitano negli abissi più profondi e inesplorati degli oceani, come spugne e batteri, a fornire le medicine del futuro. A dare la caccia ai nuovi composti nascosti fra fango e sedimenti delle fosse oceaniche sono gli scienziati del progetto PharmaSea, al lavoro in Italia, Gran Bretagna, Belgio, Norvegia, Spagna, Irlanda, Germania, Svizzera e Danimarca. Il progetto durerà quattro anni, ha ricevuto un finanziamento europeo di 9,5 milioni di euro e potrà contare su 24 organizzazioni partner fra università, industria e enti non profit, in 14 Paesi tra cui Cina, Nuova Zelanda, Sudafrica, Cile e Costa Rica.

Uno degli scopi di PharmaSea è quello di arrivare a produrre nuovi antibiotici. “Al momento c’è una reale assenza di sviluppo di buoni antibiotici, non ne è stato registrato uno nuovo dal 2003” spiega Marcel Jaspars, docente dell’università di Aberdeen in Gran Bretagna, che guida il team di scienziati. Secondo Jaspars “se non viene fatto nulla in 10-20 anni torneremo indietro all’era ‘pre-antibiotici’, in cui quelle che oggi sono semplici infezioni potrebbero diventare malattie fatali”. PharmaSea si occuperà anche della ricerca e sviluppo di potenziali antibatterici, antivirali e in generale di farmaci per malattie non ancora sconfitte, come quelle neurodegenerative.

L’80% delle sostanze attive utilizzate in medicina proviene da prodotti naturali – spiega Camila Esguerra, ricercatrice dell’Università di Lovanio in Belgio e coordinatrice di PharmaSea – e sappiamo che possono arrivare anche da organismi marini, che si sono evoluti per combattere tossine o predatori. Da loro derivano già un farmaco per la terapia antitumorale e uno contro il cancro al seno”. Per i biologi marini esplorare le profondità oltre i duemila metri significa scoprire specie nuove, che vivono in condizioni estreme. La raccolta dei campioni di fango e sedimenti partirà dalla fossa oceanica di Atacama, nel Pacifico orientale. Ad effettuare la caccia fino a 8.000 metri “ci sarà la stessa azienda di ingegneria scozzese che ha permesso il ritrovamento del Titanic – racconta Esguerra – tramite un cavo lungo nove chilometri”. Meteo permettendo, sono previsti tre campionamenti l’anno, nelle aree oceaniche più fredde, più calde e più salate, incluse le zone polari artiche ed antartiche.

In Italia partecipa al progetto un gruppo di ricerca dell’Istituto di biochimica delle proteine di Napoli, che è coinvolto nell’isolamento e caratterizzazione di composti antimicrobici da batteri antartici attivi contro alcuni microorganismi che infettano, spesso mortalmente, i pazienti affetti da fibrosi cistica. “Noi invece cerchiamo principi attivi, nel fitoplancton o nelle micro – alghe, di cui esistono migliaia di specie che sono state poco esplorate per il loro potenziale come farmaci” spiega Adrianna Ianora, ricercatrice della stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, partner di PharmaSea. “Abbiamo una nostra collezione di micro-organismi, ma effettueremo prelievi anche in un sito vulcanico a Ischia” conclude Ianora. Per lo sviluppo di nuove medicine servirà tempo. “Va calcolato almeno un periodo di dieci, quindici anni, fra il test positivo sul composto e la produzione del nuovo farmaco” afferma Esguerra.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Cancro, ecco Biopool il motore di ricerca europeo per studiare le biopsie

next
Articolo Successivo

Cervello può sopravvivere al corpo, vita neuroni non limitata da geni

next