I guadagni delle prostitute finiscono sotto la lente dei carabinieri. Per tre mesi, a Bologna, le pattuglie hanno fermato una a una le lucciole sui viali, chiedendo loro non solo nome, cognome e nazionalità, ma anche dettagli sul guadagno medio giornaliero e sul compenso per ogni singola prestazione. Una sorta di censimento, realizzato grazie alla distribuzione di moduli definiti “annotazioni di servizio”, che ora fa discutere e che è già nel mirino di alcune associazioni contro la violenza e lo sfruttamento delle donne.

Iniziata a settembre l’operazione ha coinvolto i carabinieri della compagnia di Bologna centro e quelli della radiomobile, che ogni notte hanno somministrato alle prostitute un documento da compilare inserendo dati anagrafici (nome, cognome, data e Paese di nascita), recapito telefonico ed estremi del documento d’identità. E poi via via altri dettagli, come il canone d’affitto, il guadagno medio giornaliero e quello per ogni singola prestazione, “da quanto tempo si svolge l’attività di meretrice”, ed eventuali “dichiarazioni in merito agli sfruttatori”.

Insomma, una sorta di sondaggio per tracciare il profilo delle professioniste del sesso a pagamento, che ogni notte popolano le strade di Bologna. L’obiettivo dichiarato dai carabinieri è capire chi sono le prostitute, quanto guadagnano, dove abitano e in quali condizioni, e se hanno contratti d’affitto. Nessuna schedatura, fanno sapere, ma regolari moduli da destinare all’Agenzia delle entrate, che farà i normali controlli. Al comando assicurano che tutto è stato fatto nel pieno rispetto della legge.

Non solo “Cortina” dunque. I controlli del Fisco potrebbero arrivare anche sui marciapiedi bolognesi, per costringere le prostitute a pagare le tasse. Una prospettiva considerata impensabile e ai limiti dell’assurdo da Fiori di Strada, associazione che da anni assiste e fornisce supporto alle donne vittime di tratta. “È una perdita di tempo inutile – commenta il responsabile Antonio Dercenno – e di sicuro la maggior parte delle informazioni raccolte sarà inattendibile. Non si può dimenticare infatti che spesso la vita di queste persone è costruita su menzogne. Anche ai carabinieri le ragazze avranno detto delle sciocchezze. Le sim del cellulare, ad esempio, quasi sempre sono intestate a persone inesistenti”. Bisognerebbe concentrare le forze in altro modo, conclude, “andando a colpire gli sfruttatori”.

Anche il Comitato per i diritti civili delle prostitute è sul piede di guerra, e ha fatto sapere di avere già chiesto i propri legali di valutare l’accaduto. Ieri la cofondatrice Carla Corso, intervistata dalla stampa locale, ha definito l’operazione un “fatto molto grave”, in contrasto con i principi della cosiddetta legge Merlin del 1958. L’articolo 7 infatti prevede il divieto di qualsiasi registrazione, sia diretta sia indiretta, delle donne che vendono il loro corpo o anche solo sospettate di farlo. Per questo anche Pia Covre, famosa attivista della stessa onlus, invita le ragazze a non rispondere a domande che oltrepassino la normale identificazione: “Si tratta di un abuso”.

È da diversi mesi, almeno da settembre, che questi moduli definiti “annotazioni di servizio” vengono allegati dai carabinieri alle notizie di reato inviate alla procura di Bologna. Confluiti poi nei fascicoli dei pm. Il procuratore aggiunto Valter Giovannini, riferendosi esclusivamente ai moduli presentati alle ragazze di strada e non all’obiettivo dichiarato dai carabinieri di destinare i risultati all’Agenzia delle entrate, ha dichiarato alla stampa che “si tratta di assunzioni di informazioni, con le quali i carabinieri possono anche trarre spunti investigativi, allegate alle comunicazioni di reati sin qui pervenute nei confronti di potenziali sfruttatori e di donne che hanno reso false dichiarazioni sulla loro identità personale”.

g.z. – n.l.

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