Correva l’anno 1980. L’impiegato comunale Marescotti Ivano da Bagnacavallo viene convinto da un suo amico attore, fuggito dall’Argentina di Videla, a sostituirlo sul palco teatrale di uno spettacolo per bambini.

E’ piena estate. Marescotti chiede un giorno di ferie al Comune di Ravenna dove lavora e raggiunge Bologna. Arriva davanti a Villa Guastavillani, dove Patrizio Roversi e Syusy Blady, allora sconosciuti, lo gettano subito sul palco a recitare. L’impressione è ottima e gli chiedono di tornare il giorno dopo. Altra richiesta per un secondo giorno di ferie. Altra recita per i bimbi. Marescotti si licenzia dal lavoro e la carriera d’attore comincia, senza fermarsi più.

“Erano gli anni del riflusso post ’77. C’è chi si è fatto terrorista, chi è finito nel tunnel della droga, chi è diventato craxiano ed oggi berlusconiano”, racconta, dalla sua bella casa che dà sui tetti di Bologna, l’attore romagnolo, “io, invece, ero in crisi psicofisica, mi sono giocato le ferie dell’estate 1980 e alla fine ho rinunciato all’impiego pubblico per una vita bohemienne”.

Dopo trent’anni di carriera tra teatro e cinema, come ti definiresti?

“Sono un caso unico al mondo di attore senza vocazione. Ho iniziato per caso, senza aver mai fatto scuole di recitazione prima. Poi negli anni ’80 ho fatto quattro, cinque anni di gavetta durissima con 30mila lire al giorno che spendevo regolarmente tra benzina e mangiare, senza mettere via nulla. Alcuni amici di Ravenna che mi incrociavano per strada mi chiedevano che fine avessi fatto e io gli dicevo: “faccio l’attore”. E loro mi rispondevano, come si dice in Romagna: “bravo, bravo”. Però si viveva bene, liberi e il mal di stomaco che mi aveva distrutto mi era passato”.

Hai comunque calcato le scene con i più grandi registi teatrali italiani e non solo…

“A metà anni ’80 leggevo romanzi per i ciechi all’istituto Cavazza di Bologna. E non c’è niente da ridere: fu un passo importante che mi permise di migliorare la dizione. Dopo sono arrivati Luigi Gozzi, Giorgio Albertazzi, Carlo Cecchi, Mario Martone, ma anche esperienze meno conosciute ma di grandissimo spessore artistico con Leo De Berardinis e Thierry Salmon”.

L’elenco dei registi con cui hai lavorato è infinito. Partiamo da Fellini, ti ricordi?

“Ero a Roma con la valigia in mano, destinazione Bologna per un provino. Squilla il telefono: “sono la segretaria del maestro Fellini, il maestro vorrebbe vederla”. Rispondo di non prendermi per il sedere, ma la signora insiste: “sono Fiammetta, la segretaria di Fellini, il maestro la attende alle 12 allo studio 5 di Cinecittà per un provino”. Incredulo e incazzato per il provino giudicato sicuro che stavo perdendo a Bologna, andai a Cinecittà. Era tutto vero: tra le foto sparpagliate in giro nel suo studio, Fellini aveva scelto la mia per farmi fare una comparsata in Ginger e Fred”.

Benigni?

“E’ un grande personaggio. Non tutti i film che fa sono belli, per esempio a me Pinocchio non è piaciuto. Però io ho fatto due film con lui. Uno è Il mostro, l’altro è il film più comico che lui abbia mai fatto: Johnny Stecchino. Tutta la prima mezz’ora prepara una serie di gag per poi farle scoppiare nella seconda parte con grande maestria. Benigni mi aveva visto ne L’aria serena dell’ovest (1989) di Silvio Soldini. Mi ha chiamato, poi così com’è davanti alle telecamere, mentre ero nel corridoio ad aspettarlo, è uscito dall’ufficio e mi è saltato addosso, mi ha abbracciato: “Marescotti! Ti voglio! Ma dov’eri fino adesso?”

Checco Zalone?

“Zalone in Puglia è una star. Quando mi ha proposto il primo film, Cado dalle nubi, mi chiedevo chi fosse. Vado a vedere su youtube, scarico i suoi sketches e mi fa sbudellare dal ridere. Decido di girare con lui ed è un grande successo di pubblico. Nel secondo, Che bella giornata, mi volevano pagare meno! Poi parlando con Zalone e Nunziante gli ho detto: è la seconda volta che un comico mi chiama per fare due commedie, una seguito l’altra, la volta dopo, poi, quel comico ha preso l’Oscar”.

I due film ad Hollywood?

“Per fare il mio mestiere ci vuole “Oc, stomich e bus de cul”. “Oc” perché devi essere nel momento giusto al punto giusto, “stomich” perché per andare avanti devi mandare giù rospi, “bus di cul” perché senza questo gli altri due… Però, per sfidare il “bus de cul” devi bleffare. Per Hannibal con Ridley Scott e King Arthur di Antoine Fuqua ho compiuto due bluff clamorosi, visto che non sapevo l’inglese. Con Scott ho imparato in una settimana i dialoghi del mio personaggio con cassette registrate da una madrelingua. Con Fuqua, una volta che me la sono cavata con il mio inglese maccheronico firmo il contratto e la produzione mi dice “of course, è un film di cavalieri quindi è sottointeso che lei sappia cavalcare”. Io, che al massimo, ho visto i cavalli nei film western ho risposto: “of course”.

Ma tu sei sempre al lavoro: non vai mai in ferie?

“Negli ultimi tre anni ho girato la serie tv I Liceali. Essendo una fiction da girare tra corridoi e aule scolastiche, il set del liceo Mamiani a Roma è a luglio e agosto. Niente ferie estive da un bel po’ quindi e un caldo boia da patire che nemmeno a Bologna a ferragosto”.

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