“L’Expo si fa al cento per cento”. Non ha dubbi Giuseppe Sala, il nuovo amministratore delegato di Expo Spa, la società pubblica che gestirà il grande evento. E sulle voci di una proposta economica della Turchia per portare a Smirne l’esposizione, visti i ritardi del progetto italiano, rilancia: “Non facciamoci del male dando credito ai gufi”.

L’ex direttore generale di Palazzo Marino, ospite ieri della festa milanese del Partito Democratico, non rinuncia all’entusiasmo, nonostante i nodi ancora da sciogliere in vista della valutazione del Bureau International des Expositions (Bie), che il 23 novembre prossimo giudicherà il lavoro svolto e la conformità al progetto milanese. La vera ragione dell’attuale stallo è la questione dei terreni sui quali si costruirà l’area espositiva. “Chiaro che siamo preoccupati”, ammette Sala, “ma non è che ci tolgono l’Expo. Al massimo ci concedono una proroga di due mesi per la pendenza sui terreni”. Del resto “il problema è nelle mani degli enti locali” spiega Sala, che auspicando il superamento degli attuali vincoli decisionali e di spesa, aveva già invitato le istituzioni socie di Expo ad accelerare sulle aree.

Non è dello stesso parere Roberto Formigoni, che alle sollecitazioni di Sala risponde: “Veramente noi abbiamo nominato lui. Ora il compito di lavorare è suo”. Nonostante lo scarica barile, la soluzione sui terreni è stata annunciata per il 15 settembre prossimo, ma le proposte sul tavolo sono ancora parecchie. L’ultima, quella del presidente della Provincia Guido Podestà, propone di mettere tutta l’area nelle mani di un unico proprietario, quelle di Fondazione Fiera che acquisterebbe i terreni della famiglia Cabassi. A Fiera sarà chiesto l’impegno a cedere l’area, come garanzia da presentare al Bie.

Comunque si proceda, l’intenzione resta quella di ripagare Fiera e Cabassi con diritti di costruzione per il dopo Expo. È lo stesso ad Sala a parlare di dopo Expo: “Un terzo dell’area è giusto destinarlo a progetti residenziali”, ha dichiarato ieri riferendosi ad una delibera della giunta Moratti. “Quella delibera non è mai stata rettificata dal Consiglio comunale”, risponde Maria Carmela Rozza, consigliere del Pd a Milano. “Il Consiglio si è già espresso sul futuro dei terreni dell’Expo”, spiega Basilio Rizzo, consigliere della Lista Fo, e precisa: “Abbiamo votato un documento che destina l’intera area ad usi pubblici con ricaduta sociale. Manca la volontà”, accusa Rizzo, “di scongiurare nuove speculazioni edilizie”.

Ma la cifra del nuovo amministratore dell’Expo è l’ottimismo. E di fronte allo scetticismo di Giulio Tremonti e alla tesi leghista della necessità di un “ridimensionamento dei costi”, si smarca. “In tempo di crisi e senza grandi capitali, la nostra forza sarà il potenziale attrattivo del Paese”, e nella perplessità degli astanti aggiunge: “Milano è una città ideale per un turismo di tre giorni. Quello che serve all’Expo”.

Nel candidare Milano, l’Italia si è impegnata per un investimento di un miliardo e mezzo. Ma, tra crisi economica e exposcettici, si è deciso di dilazionare la cifra, con il grosso dei versamenti da farsi negli ultimi tre anni. “Rimandare lo stanziamento è pericoloso”, avverte Vincenzo Peluffo, deputato del Pd presente ieri all’incontro, che cita la Corte dei Conti: “Potrebbe mancare la copertura per i lavori”.

La matassa da sbrogliare è enorme e Giuseppe Sala, a sentire alcuni dei presenti alla festa del Pd, per ora è “un re senza reame”. “Del resto” – spiega Sala – “l’Expo non è la panacea a tutti i problemi”. E contrattacca: “Se ci sono proposte alternative all’Expo, avanti! Ma la realtà”, conclude, “e che non ne vedo”.

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