Nonostante condanne e scandali, i vari numeri uno degli sport italiani restano in sella per decenni. Due esempi: Luciano Rossi e Sabatino Aracu, entrambi politici nel tempo libero, sono i numeri uno di tiro a volo e pattinaggio dal 1993. Merito (o colpa) di un insieme di regole che penalizza eventuali sfidanti. "Hanno in mano potere, cassa e giustizia. E questo fa sì che chi comanda oggi, al 90% lo farà anche domani”, spiega Marzio Innocenti, ex capitano della nazionale di rugby, che lo scorso settembre ha provato invano a sfidare l’ordine costituito. Soluzione? Cambiare le norme dall'esterno, introducendo limiti di mandato. Malagò ci proverà (dopo la sua rielezione)
Delle 38 Federazioni che fanno attività sportiva e ricevono contributi pubblici (escluse le due di sport invernali, il cui quadriennio è sfasato), 28 sono già andate al voto. Dal Coni fanno notare che in ben sette la guida è cambiata. Ma in molti casi si tratta di un falso rinnovamento: come nella vela o nel judo, nella ginnastica o nel motociclismo, dove il nuovo presidente non è altro che il vice di quello vecchio. Soltanto in un caso, nel pentathlon moderno, il presidente uscente (Valter Magini) è stato battuto alle urne dallo sfidante Fabrizio Bittner. Praticamente un eroe. Poi si può parlare di vero ricambio anche nel tennis tavolo (eletto Renato Di Napoli) e nel baseball, dove il braccio destro dell’ex presidente Riccardo Fraccari è stato superato da Andrea Marcon (anche dopo le polemiche per il “business della pallina” raccontato da ilfattoquotidiano.it). Il resto, in un modo o nell’altro, è continuità: per ora la percentuale di avvicendamento al vertice si ferma al 10%. Altro che rinnovamento.