Bruxelles certifica il default pilotato della Grecia e tutti esultano. L’accordo in dirittura d’arrivo al vertice straordinario dell’Eurogruppo sancisce una doppia vittoria di Francia e Germania ma nello stesso tempo apre le porte ad una soluzione, quella degli Eurobond, che a Berlino non hanno ancora digerito del tutto. La sfida ora si sposta da Atene a Bruxelles.

Con i conti ellenici completamente fuori controllo per effetto della recessione autoprodotta dall’austerità il governo di Papandreou non può che certificare un bilancio tecnicamente fallimentare. Il «buco nero» nel bilancio ordinario dell’Amministrazione centrale ellenica per i primi sei mesi del 2011 è di 4,5 miliardi di euro secondo i dati definitivi forniti dal ministero delle Finanze.

In relazione agli obiettivi fissati dal Ministero stesso, le entrate hanno registrato una diminuzione di 3,26 miliardi di euro, e la spesa pubblica ha superato l’obiettivo fissato per 1,27 miliardi di euro. In particolare, le entrate per il semestre in questione sono state pari 21.814 miliardi di euro contro l’obiettivo di 25.081 miliardi fissato dal ministero, ridotte del 8,3% rispetto lo stesso periodo del 2010, mentre il totale delle spese dello Stato centrale hanno raggiunto i 33.155 miliardi di euro, contro l’obiettivo di 31,880 miliardi fissato dal ministero. Il deficit dello Stato, alla fine di giugno, ha raggiunto i 12,74 miliardi di euro contro i 10,37 miliardi previsti dal ministero e contro i 9,99 miliardi di euro del corrispondente periodo del 2010.

Con questa situazione è quindi impossibile frenare il buco e pensare di poter risanare il dissesto. L’unica soluzione per Atene è rinunciare a parte della propria sovranità in cambio di una progressiva sostituzione dei propri titoli di debito con quelli emessi dal Fondo Salvastati che garantiscono una spesa per interessi molto più contenuta e possono liberare un po’ di risorse per qualche stimolo all’economia ellenica che ha bisogno di uscire dal vortice recessivo.

Il default di Atene non poteva non comportare un riscadenzamento del debito da parte delle banche private e per capire i rischi che si sono corsi sino al vertice di oggi basta analizzare gli ultimi dati sulle esposizioni resi noti dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bank of International settlements – Bis). Alla fine del 2010, spiegano da Basilea, l’ammontare totale dei bond sovrani greci presenti sui principali mercati valeva 54,2 miliardi di dollari su un totale di 145,7 miliardi di bond provenienti da Atene (la somma dei titoli di stato e delle obbligazioni emesse dalle banche private). Una cifra tutto sommato contenuta rispetto al controvalore totale delle obbligazioni provenienti dal Portogallo (202,4 miliardi) e dall’Irlanda (addirittura 462,3). Ma la situazione, in realtà, appare più preoccupante. Soltanto il 17% di quei 202 miliardi e rotti di provenienza lusitana è costituito infatti da obbligazioni sovrane. In Irlanda la percentuale scende addirittura al 4%.

Insomma, nel mercato ci sono oltre 54 miliardi di dollari in obbligazioni statali elleniche a fronte di poco più di 30 miliardi di titoli di Stato di Lisbona e una ventina di miliardi di bond pubblici di Dublino. In questo senso il peso della crisi greca sembra essere ancora superiore.

Ma a chi appartengono questi titoli? Fondamentalmente alle banche europee che ne possiedono circa il 96% del totale. I francesi hanno in cassa quasi 15 miliardi di “spazzatura” sovrana ateniese, i tedeschi addirittura 22,6 mentre i britannici ne detengono meno di 3,5 miliardi contro i 2,3 dell’Italia.

Il problema, però, sta in quello che la Bis non dice: ovvero a quanto ammonti il valore dei titoli di Stato in mano alle banche greche che, proprio a fronte di questa esposizione interna, rischiano di naufragare danneggiando così ulteriormente il resto dell’Europa. E qui è utile chiamare in causa un altro dato, ovvero l’esposizione complessiva su tutte le obbligazioni elleniche (statali e bancarie) che valgono da sole 145 miliardi. Nella nuova classifica la Francia svetta su tutti con 56,7 miliardi di esposizione contro i quasi 34 in mano a Berlino. I “lenders” del Regno Unito ne possiedono 14 miliardi, l’Italia 4, gli Usa circa 7,3.

Fatto l’accordo in sede europea, la palla passa ora alle agenzie di rating che dovranno dare un giudizio semi definitivo sui titoli greci. Standard & Poor’s, si dice, dovrebbe applicare la valutazione “intermedia” del default selettivo, quello che caratterizza le nazioni che cambiano le condizioni su tempi di maturazione e valore degli interessi solo su una parte dei titoli che hanno emesso. Ma come si comporteranno Fitch e Moody’s? Abbasseranno il giudizio al livello D come default? Un problema non da poco visto che in quel caso la Bce potrebbe avere difficoltà nell’operazione di riacquisto (buy back) dei titoli ateniesi mentre i possessori di questi ultimi potrebbero rivolgersi alle banche che avevano assicurato le obbligazioni emettendo derivati di tipo Credit default swap (Cds). Si tratta, in questo caso, quasi esclusivamente delle banche Usa che, di fronte al giudizio di bancarotta, potrebbero essere costrette a sborsare una quantità di denaro liquido non indifferente ai creditori europei. I dati non sono noti, ma da tempo si parla insistentemente di una cifra prossima ai 25 miliardi di dollari.

Total lending exposure to Greece (millions) Total Government debt exposure to Greece (millions)

Total of 24 countries

145,783

54,196
European banks 136,317 52,258
Non-European banks 9,466 1,938
France 56,740 14,960
Germany 33,974 22,651
Italy 4,085 2,345
Japan 1,631 432
Spain 974 540
UK 14,060 3,408
US 7,318 1,505

di Andrea di Stefano e Matteo Cavallito

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