Capitoli

  1. Matteo Messina Denaro è morto – Le bombe, i miliardi, le coperture e i misteri della latitanza: vita e segreti del boss delle stragi
  2. UN ARRESTO CLAMOROSO
  3. I MISTERI DELLA LATITANZA
  4. PRIMA LE BOMBE POI GLI AFFARI
  5. PADRINI E POLITICI
  6. L'ULTIMO PEZZO DEL PUZZLE
  7. LETTERE A SVETONIO
  8. FEMMINE E PALLOTTOLE
  9. GUARDIE, LADRI E COMPASSI
  10. ALLE ORIGINI DELLA PIOVRA
  11. MORIRE DA LATITANTE
  12. A CENA SOTTO CASA DI MATTEO
  13. UN BIGLIETTO PER CARACAS
  14. L'AMICO DI DELL'UTRI
  15. OMICIDI SENZA MOVENTE
  16. LA NAZIONALE DEI KILLER DI COSA NOSTRA
  17. “I PICCIOTTI SANNO TUTTE COSE”
  18. LA FINE DELLE BOMBE
  19. I SEGRETI DELLA SECONDA REPUBBLICA
Mafie

PADRINI E POLITICI - 5/19

Dopo i piccioli, c’è la politica. Quando Matteo diventa un fantasma la Prima Repubblica sta morendo. La seconda nasce nel 1994, proprio quando finiscono le stragi: Forza Italia vince le elezioni e Silvio Berlusconi diventa presidente del consiglio. In Parlamento, da Trapani, arriva anche un uomo distinto, uno con una barba curatissima: si chiama Antonio D’Alì ed è il rampollo di una delle più importanti famiglie della provincia. Proprietari di latifondi, di saline e di banche, i D’Alì hanno dato lavoro a tantissimi siciliani. Anche ai Messina Denaro. A raccontarlo è lo stesso Matteo, un giorno che lo chiamano in commissariato. A Partanna c’è stato un omicidio e i poliziotti vogliono capirci di più. Matteo nega: di quella storia non sa nulla. Lui è solo un agricoltore, un “viddano”, come padre. Ma loro non sono “viddani” come gli altri: loro lavorano per i D’Alì. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro, sono il quarto dei sei figli di mio padre Francesco Messina Denaro e sono l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi. Voglio precisare che mio padre ha iniziato la sua attività agricola come campiere e coltivatore presso i terreni della famiglia D’Alì Staiti”, scandirà il giovane mafioso, abilissimo a far valere tutto il peso di quel cognome autorevole. Per quella famiglia, aggiunge, lavora pure suo fratello maggiore, Salvatore: non in campagna, però. Salvatore ha studiato e ha un posto alla Banca Sicula. Sono vecchie storie che torneranno d’attualità anni dopo, quando D’Alì finirà sotto inchiesta per concorso esterno. Dicono che per fasi eleggere al Senato ha avuto i voti della mafia, almeno fino alle elezioni del 2001. Dicono che per sdebitarsi ha fatto trasferire lontano da Trapani un prefetto odiato dai boss. E che ci aveva provato pure col capo della squadra mobile: si chiama Giuseppe Linares ed è l’uomo che per anni ha dato la caccia a Matteo. Un giorno, dopo uno dei tanti blitz antimafia, lo chiama, si congratula e poi dice: “Sarebbe il caso che lei se ne andasse, è troppo esposto”. Era il 2002, Linares ricorda che il tono di quella chiamata era algido. Il poliziotto sarà poi trasferito solo nel 2013: lo promuovono e lo mandano a Napoli. Dopo un processo lungo e complesso, invece, a D’Alì lo hanno condannato in via definitiva a sei anni: è entrato in carcere il 14 dicembre del 2022. Esattamente un mese dopo arrestano Messina Denaro.