Capitoli

  1. Matteo Messina Denaro è morto – Le bombe, i miliardi, le coperture e i misteri della latitanza: vita e segreti del boss delle stragi
  2. UN ARRESTO CLAMOROSO
  3. I MISTERI DELLA LATITANZA
  4. PRIMA LE BOMBE POI GLI AFFARI
  5. PADRINI E POLITICI
  6. L'ULTIMO PEZZO DEL PUZZLE
  7. LETTERE A SVETONIO
  8. FEMMINE E PALLOTTOLE
  9. GUARDIE, LADRI E COMPASSI
  10. ALLE ORIGINI DELLA PIOVRA
  11. MORIRE DA LATITANTE
  12. A CENA SOTTO CASA DI MATTEO
  13. UN BIGLIETTO PER CARACAS
  14. L'AMICO DI DELL'UTRI
  15. OMICIDI SENZA MOVENTE
  16. LA NAZIONALE DEI KILLER DI COSA NOSTRA
  17. “I PICCIOTTI SANNO TUTTE COSE”
  18. LA FINE DELLE BOMBE
  19. I SEGRETI DELLA SECONDA REPUBBLICA
Mafie

A CENA SOTTO CASA DI MATTEO - 12/19

Tutta questa storia è riassunta nella sentenza che nel 2020 ha condannato all’ergastolo Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e via d’Amelio. Per quasi trent’anni la giustizia italiana si era dimenticata di processarlo per gli omicidi di Falcone e Borsellino: la figura di Matteo era rimasta sullo sfondo delle indagini sulle stragi di Capaci e via d’Amelio. Almeno finché a Caltanissetta un magistrato non ha deciso di prendere in mano migliaia di pagine di carte giudiziarie dimenticate. Si chiama Gabriele Paci, è un pm romano che oggi fa il capo della procura di Trapani. Per lui si tratta di un ritorno visto che è nella città della Sicilia occidentale che Paci comincia a lavorare nel 1992, l’anno delle stragi. All’epoca la provincia di Trapani era una zona franca, un territorio sicuro che i capi corleonesi hanno eletto a loro dimora. Raccontano i pentiti che “a Trapani i cani erano attaccati”: vuol dire che polizia e carabinieri erano in qualche modo gestibili. Dalle villette con piscina sul mare di Scopello fino ai bungalow di San Vito lo Capo e di Marausa, in quel periodo la Sicilia occidentale è una sorta di villaggio turistico per i boss delle stragi. È lì che dalla capitale viene catapultato l’allora giovane magistrato romano. In procura lavora 12 ore al giorno, sabato e domenica inclusi. Dorme in una sorta di foresteria annessa al palazzo di giustizia e l’unica pausa che fa è per andare a cena in una trattoria al vecchio Rione Palme. È in quelle sere d’estate che le strada di Paci incrocia quella Matteo Messina Denaro. In quel periodo il boss ha fissato la sua dimora in un palazzo che è praticamente attaccato al ristorante frequentato dal pm: dalla finestra lo osserva mentre mangia, beve, discute. Poi si alza ma non se ne va: passeggia, fuma una sigaretta in compagnia di qualche collega. “Dottore, per colpa sua noi non potevamo uscire. Matteo s’incazzava moltissimo”, racconterà anni dopo uno degli uomini di Matteo.