Politica

Governo Meloni, dalla sorpresa Zangrillo allo scambio Crosetto-Urso e le conferme Giorgetti, Salvini e Tajani: i 24 ministri del nuovo esecutivo

Il nuovo esecutivo è il primo guidato da una donna ma a livello di numeri vede una schiacciante maggioranza di uomini: sono 18, praticamente due terzi del totale. Alla fine Fdi esprime nove ministri, cinque a testa sono della Lega e di Forza Italia mentre altri cinque sono tecnici di area. Cambiano alcune deleghe e i nomi di alcuni dicasteri: a sorpresa, rispetto ai rumors, c'è lo scambio tra Sviluppo Economico e Difesa. E la premier legge una lista coi nomi sbagliati dei ministri di Pubblica amministrazione e Ambiente. Ecco i profili di tutti gli esponenti del nuovo governo

Ventiquattro ministeri, uno in più del governo di Mario Draghi. E se rispetto ai retroscena cambiano alcune deleghe, con Adolfo Urso e Guido Crosetto si scambiano lo Sviluppo Economico e la Difesa, è completamente inedito l’errore compiuto da Giorgia Meloni: dopo aver incontrato Sergio Mattarella, per sbaglio la neo premier legge una lista in cui la Pubblica amministrazione è assegnata al berlusconiano Gilberto Pichetto Fratin e l’ambiente a Paolo Zangrillo. Per accorgersi dell’errore passano due ore, durante le quali il fratello del medico personale di Silvio Berlusconi arriva a dichiarare alle agenzie come ministro dell’Energia. Poi però arriva la rettifica: i due dicasteri devono scambiarsi i ministri. Come dire: il governo Meloni è nato talmente in fretta – la premier ha accettato l’incarico senza riserva – che è venuto fuori con un errore macroscopico.

Per il resto non è un monocolore di Fratelli d’Italia ma poco ci manca visto che in fondo si tratta pur sempre dell’esecutivo Meloni. Un governo fortemente connotato a destra che per la prima volta nella storia italiana sarà guidato da una donna. A livello di numeri, invece, il nuovo esecutivo vede una schiacciante maggioranza di uomini: sono 18 con solo 6 donne, praticamente i due terzi del totale. Alla fine Fdi, il partito che ha vinto le elezioni, esprime nove ministri, cinque a testa sono della Lega e di Forza Italia mentre altri cinque sono tecnici di area. La maggioranza dei ministri (15) proviene dal Nord Italia, soprattutto dalla Lombardia (5) con cinque componenti dell’esecutivo (compreso la premier) che vengono dal Lazio, due dalla Campania, due dalla Puglia e una a testa da Sicilia e Sardegna. Non ci sono toscani e neanche ministri trentenni: per quanto riguarda l’età, prevalgono i 60enni (12), ma di pochissimo, sui 50enni (10). Solo 3, invece, i 40enni: Meloni (45), Matteo Salvini (49) e Alessandra Locatelli (46). Rispetto ai retroscena cambiano alcune deleghe e i nomi di alcuni dicasteri: a sorpresa Adolfo Urso e Guido Crosetto si scambiano lo Sviluppo Economico e la Difesa mentre vengono confermati i ministeri di peso a Matteo Salvini e Antonio Tajani, entrambi nominati vice presidenti del consiglio.

Ha destato scalpore l’errore su Ambiente e Pubblica amministrazione, mentre a Palazzo Chigi ci sarà una novità: il sottosegretario alla presidenza non sarà Giovanbattista Fazzolari, fidatissimo consigliere di Meloni, ma Alfredo Mantovano, ex di Alleanza nazionale e già sottosegretario all’Interno nell’ultimo governo Berlusconi. Cambiano, poi, i nomi di alcuni dicasteri : lo Sviluppo economico diventa il ministero delle Imprese e del Made in Italy, quello della Transizione ecologica si chiamerà Ambiente e sicurezza energetica, le Politiche agricole cambiano in Agricoltura e sovranità alimentare e al ministero dell’Istruzione viene aggiunta la dicitura “del merito”. Le politiche europee tornano a essere un ministero e includeranno anche la Coesione territoriale e il Pnrr mentre il ministero del Sud sarà anche ministero del Mare e a quello della Famiglia si aggiunge la Natalità.

Presidente del consiglio dei ministri: GIORGIA MELONI (Fdi)
La prima donna
nella storia delle politica italiana a sedere a Palazzo Chigi è la leader di Fratelli d’Italia. Ed è solo la terza ad aver accettato senza riserva: convocata per ricevere l’incarico è uscita dall’incontro con Sergio Mattarella con la lista dei ministri già fatta. Meloni vuole e deve andare in fretta: in uno scenario internazionale complicatissimo, non ha avuto certo tempo per festeggiare. Nonostante il terremoto degli audio diffusi da Silvio Berlusconi che avrebbero potuto modificare alcune caselle, il primo governo guidato da una donna nasce a tempi record: due giorni e ogni dissidio con l’uomo di Arcore sembra (sembra) dimenticato. Romana, nata nel 1977, cresciuta nel quartiere della Garbatella, a 15 anni aderisce al Fronte della gioventù, organizzazione giovanile del Movimento sociale. Segue Gianfranco Fini dopo la svolta di Fiuggi e nel 2004 viene eletta presidente di Azione giovani. Consigliere provinciale a Roma, nel 2006 diventa deputata e quindi vicepresidente della Camera. Due anni dopo è ministra delle Politiche giovanili del governo di Silvio Berlusconi. Nel 2012 esce dal Pdl (dove Fini aveva sciolto Alleanza nazionale prima di guidare la scissione di Futuro e Libertà) e fonda Fratelli d’Italia insieme a Ignazio La Russa e Guido Crosetto. Rieletta alla Camera nel 2013 e nel 2018, alle politiche del 25 settembre guida Fdi alla vittoria delle elezioni col 26% dei voti. La sua carta vincente la gioca ai tempi dell’esecutivo Draghi: è l’unica a piazzarsi all’opposizione e, da sola, si trova davanti una prateria di consensi. La scalata va velocissima e senza intoppi, compresa una campagna elettorale lampo che scivola via veloce.

Sottosegretario alla presidenza del consiglio: ALFREDO MANTOVANO (Fdi)
Pugliese, 64 anni, è magistrato dal 1983, è stato pretore a Ginosa, giudice penale a Lecce e poi consigliere in Corte di appello a Roma e dal 2018 consigliere di sezione penale alla Cassazione. Nel 1996 viene eletto deputato con Alleanza nazionale, rieletto nel 2001 e nel 2008, mentre nel 2006 è al Senato. Aderisce al Pdl ed è sottosegretario all’Interno dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Non si ricandida nel 2013 e torna in magistratura: ora Meloni lo ha voluto a Palazzo Chigi.

Ministro per i Rapporti con il Parlamento: LUCA CIRIANI (Fdi)
Fedelissimo di Giorgia Meloni in Senato, Ciriani, prende il posto che era fino a poco tempo fa del grillino Federico D’Incà. Entrato a Palazzo Madama nel 2018, da allora ricopre il ruolo di capogruppo (era già stato confermato anche in queste legislatura). Laureato in lettere, nato a Pordenone, inizia a fare politica con il Movimento sociale italiano. È con An che inizia la sua carriera nelle istituzioni: prima consigliere comunale a Fiume Veneto, poi regionale per tre legislature. Dal 2008 al 2013 è vicepresidente della Regione Friuli-Venezia Giulia. Nel 2019, un anno dopo essere stato eletto in Parlamento, tenta la corsa per le Europee, ma risulta tra i non eletti. E’ stato la prima linea di Meloni in Parlamento, quando Fdi era l’unico partito all’opposizione e lo ha rivendicato per tutta la campagna elettorale: “Quello per noi non è un voto di protesta”, ha detto, “ma di fiducia nei confronti del nostro partito”. Ora, però, sarà tra i responsabili di uno dei processi più complicati in assoluto: traghettare Fdi dall’opposizione ai banchi del governo.

Ministro per la Pubblica Amministrazione: PAOLO ZANGRILLO (Forza Italia)
Sessanta anni, genovese, laurea in giurisprudenza. E fratello di Alberto, il medico personale di Silvio Berlusconi nonché presidente del Genoa calcio, di cui entrambi sono tifosi. Al secondo mandato in Parlamento sempre con Forza Italia (prima alla Camera e ora in Senato), Zangrillo ha una formazione da manager: ha lavorato in Magneti Marelli dal 1992 al 2005, dove ha rivestito i ruoli di responsabile del personale in Europa e nel mondo e in seguito di responsabile delle relazioni industriali e delle risorse umane. Successivamente ha lavorato in Fiat Powertrain Technologies (fino al 2010) e in Iveco fino (al 2011): in entrambi i casi è stato vice presidente per le risorse umane. A seguire e fino al 2017 è diventato direttore del personale e dell’organizzazione presso l’Acea. Nella scorsa legislatura è stato capogruppo Fi in commissione Lavoro di Montecitorio e si è distinto per gli attacchi a reddito di cittadinanza, definito nel 2019 una “indegna mancia elettorale”, e al salario minimo. In un primo momento Meloni aveva letto il suo nome come nuovo ministro dell’Ambiente. E lui ci aveva creduto visto che aveva pure rilasciato dichiarazioni nel suo nuovo ruolo. “Si tratta di una delega importante, su un tema, la transizione e sicurezza energetica, che oggi penso sia la priorità numero uno non solo per l’Italia ma per l’Europa”, aveva detto. Poco dopo Chigi aveva rettificato: Zangrillo va alla Pubblica amministrazione, Pichetto Fratin all’Ambiente.

Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie: ROBERTO CALDEROLI (Lega)
Da trent’anni in Parlamento e ora (di nuovo) membro del governo. Calderoli, uno dei padri fondatori della Lega Nord, si prende uno dei dicasteri chiave per il Carroccio: gli Affari regionali. Un modo per rimettere al centro autonomie che strizzano l’occhio a certe nostalgie, deluse dal crollo del partito nazionale guidato da Matteo Salvini. Già due volte ministro nel terzo e quarto governo Berlusconi e quattro volte vicepresidente del Senato, poco c’è mancato che diventasse presidente di Palazzo Madama. Per il bergamasco Calderoli sembrano essere alle spalle gli anni delle polemiche per lasciare spazio alla sua veste più istituzionale. Proprio lui che è passato alla storia della Seconda Repubblica per le invettive contro gli stranieri e per gli avvertimenti omofobi, ma anche per all’ex ministra dell’Integrazione del governo Letta, Cécile Kyenge: la chiamò “orango” prendendosi una condanna a 18 mesi per diffamazione con l’aggravante razziale, poi annullata dalla Cassazione perché all’imputato non sarebbe stato accordato il legittimo impedimento per motivi di salute. E poi la volta in cui si fece nominare commissario dei forestali calabresi, e quella che lo vide incendiare 150 scatoloni che a suo dire contenevano le 375 mila leggi “inutili” che aveva abrogato con un suo decreto. Salvo eliminare per sbaglio anche norme fondamentali e doverle poi ripristinare con un nuovo decreto. Giravolte di un uomo che ha firmato una legge elettorale per poi ribattezzarla “una porcata“: ebbe fortuna visto che la norma in questione passò alla storia come Porcellum. Tanto rimestare tra leggi e regolamenti gli è valsa però una certa dimestichezza, che vanta oggi senza riserve: “Con le mie trovate, frutto di studi faticosi e approfonditi, ho varato leggi importanti e contribuito a mandare a casa governi. Con i miei trabocchetti ho fatto cadere il governo Prodi-D’Alema e ho bloccato il ddl Zan”. Compresi gli 82 milioni di emendamenti contro il ddl Boschi, generati attraverso un algoritmo e rispediti al mittente.

Ministro per il Sud e le Politiche del mare: NELLO MUSUMECI (Fdi)
L’unico ministro siciliano, guiderà il dicastero del Sud che a questo giro si occuperà anche delle politiche del mare. Bancario, giornalista pubblicista, studi universitari in Scienze della Comunicazione, cresciuto nelle file della destra catanese. Nella sua città ha fatto anche il presidente della provincia. Poi per tre legislature è stato eletto al Parlamento europeo con Alleanza nazionale. Nel 2011 viene nominato per pochi mesi sottosegretario al Lavoro dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Poi è tornato in Sicilia, all’Assemblea regionale siciliana dove diventa presidente della Commissione Antimafia. Quindi fonda un suo movimento, DiventeràBellissima, con il quale nel novembre 2017 si candida governatore per il centrodestra: vince le Regionali a amministra per quasi cinque anni. Bersagliato dalle polemiche per i numerosi impresentabili eletti candidati nelle sue liste, il momento peggiore per Musumeci è quando il suo fidato assessore alla Salute, Ruggero Razza, finisce sotto inchiesta. E’ l’indagine nota per il numero dei morti di Covid da “spalmare” per citare un’intercettazione dello stesso Razza. Musumeci, però, è estraneo all’inchiesta e ad oggi è il primo governatore della Sicilia che riesce a concludere un mandato senza finire indagato. Si è dimesso in anticipo per fare in modo che il voto delle Regionali sia programmato nello stesso giorno delle politiche. Accetta di non ricandidarsi governatore e viene risarcito con un seggio al Senato: ora diventa ministro del Sud. Ma pure del Mare.

Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità: EUGENIA ROCCELLA (Fdi)
Una delle ultime uscite che hanno fatto più scalpore di Roccella risale all’estate scorsa: su La7 dichiarò che “l’aborto non è un diritto. Nessuna sorpresa: la futura ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità non ha mai nascosto le sue posizioni ultra conservatrici cattoliche. Per capirci, a fine gennaio 2018, diceva: “L’impegno che prendo è abolire, o cambiare radicalmente, le leggi contro la famiglia fatte dal centrosinistra nella passata legislatura. E’ necessario intervenire sul provvedimento relativo alle unioni civili dicendo con chiarezza, per esempio, che questa legge si apre di fatto alla stepchild adoption“. E ancora: “Oggi non si mettono al mondo bambini non solo perché non c’è un welfare adeguato ma perché è cambiata la cultura”. Già due volte deputata (fino al 2018), è figlia di Franco Roccella, uno dei fondatori del partito Radicale e proprio con i radicali si candida per la prima volta in Parlamento nel 1979, ma non viene eletta. Le sue prime battaglie sono proprio per l’aborto (pubblica nel 1975 il libro “Aborto, facciamolo da noi”) e per le pari opportunità. Poi negli anni ’80 la rottura, l’allontanamento per 20 anni dalla politica attiva e il ritorno con posizioni sempre più conservatrici. Nel governo Berlusconi IV è stata sottosegretaria alla Salute. Nel centrodestra ha cambiato numerosi schieramenti: eletta a Montecitorio con il Pdl, nel 2013 passa a Ncd e poi si iscrive al gruppo Misto fondando il movimento Identità e Azione guidato da Gaetano Quagliariello. Il suo attivismo si è contraddistinto sempre di più sul fronte cattolico e ultra conservatore: nel 2007 è stata portavoce della manifestazione per la famiglia, nel 2013 ha fondato il primo comitato contro l’utero in affitto. Nel 2011, insieme a Roberto Formigoni, firmò una lettera per chiedere ai cattolici di sospendere il giudizio su Silvio Berlusconi e il caso Ruby.

Ministra per le Disabilità: ALESSANDRA LOCATELLI (Lega)
Ex vicesindaca sceriffa, amica personale di Matteo Salvini e con una carriera fulminante che l’ha portata dai banchetti al Parlamento. E’ già stata ministra della Famiglia e disabilità nel governo Conte 1: eletta deputata per la Lega nel 2018, il suo nome fu ripescato per il mini rimpastino di luglio 2019, quando fu chiamata a sostituire il conservatore cattolico Lorenzo Fontana. Che, allora, venne spostato agli Affari Ue. A gennaio 2021, viene chiamata per un altro rimpasto e questa volta nella giunta della Regione Lombardia: è attualmente assessora a Famiglia, Disabilità e Pari opportunità della giunta Fontana. Nel suo curriculum ci sono: una laurea in sociologia e un’esperienza professionale nel campo della disabilità. Prima della carriera politica infatti, è stata responsabile di una comunità alloggio di Como per disabili con insufficienza grave. A Como, la sua città d’origine, ha anche ricoperto l’incarico di assessora alle politiche sociale e abitative e di vice sindaca. E’ in quel periodo da amministratrice, breve, che si guadagna l’etichetta di “sceriffa” partecipando a presidi per la chiusura dei centri migranti o firmando regolamenti anti-clochard. In un’altra fase politica (che ora sembra lontanissima), si associò alla campagna del Carroccio per chiedere la rimozione della foto di Sergio Mattarella dagli uffici pubblici dopo che aveva contestato la nomina di Paolo Savona nel governo gialloverde. Ai tempi della prima nomina nell’esecutivo Conte disse di volersi battere “per la famiglia e i disabili”. Sempre specificando di “fare riferimento alla famiglia tradizionalmente intesa”.

Ministro degli Affari Europei e attuazione del Pnrr: RAFFAELE FITTO (Fdi)
Nel suo lungo curriculum vitae il neo ministro agli Affari europei, politiche di coesione territoriale e Pnrr Raffaele Fitto può vantare un record: è stato il governatore di Regione più giovane nella storia della Repubblica italiana. Oltre al dato statistico, però, nella carriera politica dell’ex presidente pugliese c’è tanto altro, anche in termini di procedimenti giudiziari, conclusi con assoluzioni e con una prescrizione accompagnata da un risarcimento da 500mila euro dovuto alla Regione Puglia, su cui però dovrà esprimersi la Cassazione. Uomo di Giorgia Meloni a Bruxelles, nato a Maglie (Lecce) nel 1969, la sua militanza politica inizia a 19 anni, mentre intraprende gli studi in giurisprudenza, tra le fila della Democrazia Cristiana. L’anno successivo, il 1990, viene eletto consigliere regionale in Puglia, confermato 5 anni dopo con la Cdu e ‘promosso’ assessore e vicepresidente. Nel 1998 lascia il partito di Rocco Buttiglione e fonda i Cristiani democratici per la libertà che poi confluiranno in Forza Italia. Nel 1999 entra per la prima volta al Parlamento europeo con Forza Italia, dimettendosi nel 2000 per candidarsi alla guida della Regione Puglia con il sostegno del Polo per le libertà. Vince con il 53,9% dei voti, raccogliendo a 31 anni l’eredità del padre Salvatore, morto in un incidente stradale nel 1988 proprio mentre era governatore. Fallito il bis in Regione per la vittoria di Nichi Vendola, nel 2006 Fitto fa il salto alla Camera dove viene riconfermato nel 2008, anno in cui diventa ministro degli Affari Regionali e le Autonomie locali del governo Berlusconi IV. Capolista di FI nella circoscrizione Italia meridionale alle europee nel 2014, viene rieletto eletto a Strasburgo e si dimette da deputato. Da tempo in dissenso con Berlusconi su alcune scelte politiche quali il ‘Patto del Nazareno’, nel 2015 esce da Forza Italia e aderisce, in sede europea, al gruppo Ecr di cui diventa vicepresidente. Due anni dopo dà vita a Noi con l’Italia e poi ancora a Direzione Italia che poi confluisce in FdI, partito del quale Fitto entra a far parte. Nel 2020 ritenta la corsa alla presidenza della Puglia ma viene battuto dal candidato di centrosinistra Michele Emiliano. Quindi il ritorno in Parlamento, con l’elezione alla Camera alle politiche del 25 settembre.

Ministro dello Sport: ANDREA ABODI (Tecnico/ Area Fdi)
Manager, spesso in campo sportivo, spesso candidato a qualche poltrona che poi non si è concretizzata, gravitante da sempre in ambienti di destra ma stimato anche dalla sinistra. Negli ultimi 12 anni Andrea Abodi è stato prima presidente della Lega calcio di Serie B, fino al 2017, e poi a capo dell’Istituto del Credito Sportivo, dove – a proposito di trasversalità – a nominarlo fu Paolo Gentiloni. Prima aveva fatto parte del consiglio di amministrazione di Coni Servizi Spa e aveva ricoperto la carica di vice-presidente e dg del Comitato organizzatore dei Campionati mondiali di baseball. Romano, laureato in Economia e Commercio alla Luiss, dal 1987 al 1994 è stato il direttore marketing in Italia della multinazionale americana McCormack Group. Dal 1990 al 1994 è stato responsabile per l’Italia di TWI, oggi Img Media, società leader nella produzione e nella commercializzazione internazionale di contenuti multimediali sportivi. Co-fondatore nel 1994 di Media Partners Group, insieme agli ex manager del mondo berlusconiano Marco Bogarelli e Andrea Locatelli, fino al 2002 ha ricoperto il ruolo di vice presidente esecutivo nella società che si occupava di diritti tv nel mondo dello sport. Sembrava destinato a presiedere la Fondazione Milano-Cortina 2026, invece guiderà il ministero dello Sport e dei Giovani. A Meloni aveva già detto no quando la leader di Fdi lo aveva cercato per fare candidarsi a sindaco di Roma. Questa volta, ha risposto sì.

Ministra delle Riforme: MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI (Forza Italia)
Una delle più berlusconiane tra i berlusconiani, Maria Elisabetta Casellati, ottiene il ministero per le Riforme del governo Meloni. Prima donna a ricoprire la carica di presidente del Senato, dove Silvio Berlusconi è riuscito a farla eleggere nella scorsa legislatura, è tra le fedelissime che si vestirono di nero il giorno della decadenza del Cavaliere (con lei l’altra neo ministra Bernini). 76 anni, avvocata matrimonialista, aderisce a Forza Italia sin dalla fondazione: dal 1994 per il partito di Berlusconi è stata eletta sette volte a Palazzo Madama. E’ stata due volte sottosegretaria ma mai ministra, ed è stata eletta dal Parlamento membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura (con tanto di doppio vitalizio ottenuto dopo un scontro a carte bollate). Il 18 aprile del 2018, quando era alla guida del Senato, ha ricevuto dal capo dello Stato Sergio Mattarella l’incarico di verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra i partiti della coalizione di centrodestra e il Movimento 5 stelle per la formazione di un nuovo governo. Tentativo che però non porta a niente. Casellati è stata anche, a gennaio 2022, brevemente candidata al Quirinale per il centrodestra, salvo essere poi bruciata dalla sua stessa coalizione a scrutinio segreto. Nel corso del suo mandato a Palazzo Madama, Casellati ha fatto parlare di sé anche per l’uso del suo aereo blu: da maggio 2020 ad aprile 2021 lo ha usato 124 volte, cioè con la media di uno ogni tre giorni. “Non c’erano alternative”, è stata la sua scusa più gettonata. La stessa che deve aver usato per giustificare i continui cambi di addetti stampa.

Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale: ANTONIO TAJANI (Forza Italia)
Sono passati più di 28 anni da quando Antonio Tajani ha contribuito a fondare Forza Italia. Ma solo oggi il giornalista cresciuto politicamente all’ombra di Silvio Berlusconi è riuscito nell’intento inseguito per quasi tre decenni: fare politica in Italia. Fallì alle Politiche del 1996 e di nuovo alle Comunali di Roma nel 2001. La Farnesina sarà il suo nuovo tempio dopo il ritorno dall’esilio dorato di Bruxelles, dove ha scalato le gerarchie della Commissione e del Parlamento Ue. Anni nei quali Tajani, monarchico mai rinnegato, ha costruito strette relazioni internazionali, soprattutto negli ambienti cattolici, nella comunità ebraica europea e italiana e in quelli anticomunisti: da Rajoy a Guaidò, fino all’ex presidente cileno Piñera. In Israele gli hanno dedicato un bosco, a Gijon, in Spagna, una via, mentre ai sostenitori del governo di Caracas lui stesso urlava “dittatori comunisti”, salvo poi dichiarare che Mussolini “ha fatto anche cose buone”. “Fedele alla linea” (quella di Berlusconi) è la formula che più gli si addice: mai una critica al leader, almeno in pubblico, mai una manifestazione di risentimento, anche quando è stato ‘scavalcato’ nelle gerarchie di partito, mai un tradimento. Antonio Tajani è più realista del re.

Ministro dell’Interno: MATTEO PIANTEDOSI (Tecnico/ area Lega)
Prefetto di Roma, torna al Viminale da ministro dopo aver fatto da capo di gabinetto di Matteo Salvini. Per questo motivo è finito sotto inchiesta per i casi Open Arms, Diciotti e Alan Kurdi, ma ne è sempre uscito indenne. Le circolari sulla “protezione delle frontiere”, il “daspo urbano” a Bologna, i festeggiamenti non autorizzati della nazionale di calcio a Roma sono solo alcune delle sue decisioni da prefetto. Agli Interni va da tecnico di area Lega, come risarcimento per Salvini, il cui bis al Viminale è sfumato.

Ministro della Giustizia: CARLO NORDIO (Fdi)
E’ il nemico degli “abusi della custodia cautelare” e degli “eccessi delle intercettazioni nelle indagini”. Anzi, fosse per lui, gli ascolti telefonici li limiterebbe “perché costano troppo“. Vorrebbe la separazione delle carriere e il ritorno dell’immunità parlamentare, ma si è speso anche per annacquare la legge Severino, salvo frenare qualche giorno fa. Con questo curriculum Carlo Nordio è diventato il guardasigilli perfetto per il centrodestra. Nell’ultimo colloquio attitudinale ha convinto persino Silvio Berlusconi, che avrebbe voluto via Arenula per la sua Elisabetta Casellati. E invece l’ex magistrato veneto portato in Parlamento da Giorgia Meloni ha avuto la meglio: sarà lui il guardasigilli del governo di centrodestra. Nato a Treviso nel 1947, in magistratura dal 1977, ha trascorso la sua carriera in toga a Venezia. All’inizio ha condotto l’inchiesta sulle Brigate Rosse venete, su alcuni sequestri di persona, poi negli anni ’90 l’inchiesta sulle Coop rosse e il contrasto alla Tangentopoli veneta. Si avvicina al centrodestra nei mesi scorsi quando è tra i sostenitori dei referendum della giustizia promossi da Matteo Salvini. Poi finisce dell’orbita di Fratelli d’Italia che lo sceglie come candidato di bandiera alle elezioni per il Quirinale e un mese fa lo ha portato in Parlamento.

Ministro della Difesa: GUIDO CROSETTO (Fdi)
Piemontese di Marene, provincia di Cuneo, dove ha fatto il sindaco per dieci anni e dove la sua famiglia produce rimorchi agricoli addirittura dal 1937, Guido Crosetto è uno dei pochissimi fondatori di Fratelli d’Italia a non avere un passato nella destra. Classe 1963, comincia a interessarsi alla politica ai tempi dell’Università, leader del movimenti giovanili della Democrazia cristiana. Nel 1987, quando aveva solo 24 anni, Giovanni Goria, presidente del consiglio per nove dimenticabili mesi, lo vuole a Palazzo Chigi come consigliere economico. “Sì. Avevo 24 anni e mi ero appena laureato in Economia…”, raccontò lui a Sette del Corriere della Sera. E in effetti sul sito della Camera gli riconoscevano una laurea in Economia e Commercio che però, alla fine, lui non aveva mai preso. A scoprirlo fu un giornale locale piemontese, lo Spiffero. “Mi spiace. Ma lo ammetto: ho ceduto, sono stato debole… e ho raccontato una piccola, innocente bugia”, ammise Crosetto, che nel frattempo era già sottosegretario alla Difesa nel governo Berlusconi. Con la fine della Balena Bianca, infatti, aveva trovato riparo in Forza Italia: consigliere comunale a Cuneo, coordinatore regionale del partito e infine deputato per tre legislature. La quarta, dopo una pausa di cinque anni, è durata pochi mesi: nel 2018, ottenuto il seggio con Fdi, si dimette quasi subito per dedicarsi agli affari. Che affari? Armi soprattuto, ma anche turismo. Senza mai uscire da Fdi, infatti, Crosetto è fino a oggi consulente di Leonardo, l’ex Finmeccanica fiore all’occhiello del Paese. Ma è pure presidente di Orizzonte Sistemi Navali, società statale (controllata sempre da Leonardo e pure da Fincantieri) del settore delle navi da guerra, e guida anche l’Aiad, la Federazione delle aziende italiane dell’Aerospazio. Basta? No, perché nel 2021 Crosetto ha creato la Csc & Partners Srl, società di lobbying che possiede in società col figlio Alessandro e la compagna Graziana Saponaro. Società che aveva annunciato di voler liquidare nelle scorse settimane. Poco dopo la nomina alla Difesa ha spiegato di essersi dimesso da ogni incarico che occupava mentre intende liquidare tutte le sue società: “Rinuncio al 90% del mio attuale reddito”, scrive su twitter.

Ministro dell’Economia e Finanze: GIANCARLO GIORGETTI (Lega)
Giancarlo Giorgetti, 55 anni, è il nuovo ministro dell’Economia. Nato a Cazzago Brabbia, in provincia di Varese, Giorgetti è un commercialista laureato all’università Bocconi di Milano. Imparentato con il banchiere Massimo Ponzellini, la sua carriera politica comincia nel Fronte della gioventù, il movimento giovanile del partito fascista Msi. All’inizio degli anni ’90 il passaggio alla Lega di Umberto Bossi. Il debutto alla Camera è del 1996, in due occasioni sarà presidente della commissione Bilancio della Camera. Per un decennio, fino al 2012, è segretario della Lega Lombarda. È anche uno dei consiglieri di amministratore della piccola banca Credieuronord, nata all’inizio degli anni 2000 per volontà della Lega e finita in bancarotta dopo 4 anni. Giorgetti viene indagato per il crack ma viene assolto. È indicato come il regista che decide gli uomini del partito deve occupare le poltrone dei cda delle partecipate statali che contano. Nel primo governo Conte giallo verde è sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Con Mario Draghi a palazzo Chigi arriva la nomina a ministro per lo Sviluppo Economico. Il neo ministro dell’Economia è sposato con Laura Ferrari che, nel 2008, ha patteggiato una condanna a 2 mesi e 10 giorni per truffa ai danni della Regione Lombardia.

Ministro delle Imprese e Made in Italy: ADOLFO URSO (Fdi)
Due volte viceministro, cinque legislature alle spalle, Adolfo Urso è il nuovo ministro dello Sviluppo Economico. Lascia la poltrona del Copasir su cui era salito poco più di un anno fa. Sua la telefonata con lo staff di Zelensky per imbastire a Kiev il primo viaggio all’estero della nuova premier. Ha una moglie che arriva proprio dalla repubblica russofona inglobata da Putin ma “non tutti in famiglia sono filoputiniani”. Del resto Urso, padovano e cresciuto in Sicilia, classe 1957, si è conquistato una patente di uomo d’apparato affidabile grazie a una biografia di militanza quarantennale nella destra italiana e di attività istituzionale. Gli esordi in politica sono con il Fronte della Gioventù ma seguirà l’evoluzione della destra italiana da An a Fratelli d’Italia sempre con un profilo equilibrato da tessitore in contrapposizione all’ala movimentista della destra. Quando Tangentopoli bruciò i partiti della Prima repubblica e lo scontro tra magistratura e politica rischiava d’incendiare anche il Paese arrivò a proporre Antonio Di Pietro come capo dello Stato. Quando il partito troppo romano pativa il dominio della Lega al Nord investì energie per recuperare terreno sostenendo la necessità di un partito moderno e liberale capace di strizzare l’occhio al “nord produttivo” (ma se ne uscì con un: “infondo a chi parlava il fascismo? Al ceto produttivo!”). E’ stato tra i fondatori di Alleanza Nazionale, coordinatore nazionale del Comitato promotore dal 1993 al 1995 e organizzatore del congresso di Fiuggi del 1995. Farà 5 legislature in Parlamento che vedranno accrescere l’esperienza e il prestigio, al punto da diventare un uomo di riferimento all’interno del centrodestra, attraversando tutte le sue trasformazioni. Per due mandati riceve l’incarico di viceministro, delle Attività Produttive dal 2001 al 2006, e dello Sviluppo economico dal 2008 al 2011. Alle politiche del febbraio 2013 Urso non viene candidato dal Pdl, dopo la caduta dell’ultimo governo Berlusconi lascia momentaneamente la politica e fonda la Italy World Services, una società di consulenza per l’internalizzazione delle imprese con sede a Teheran che lascerà (ma con dentro il figlio Pietro) per rientrare in Parlamento. Nel 2015 decide infatti di tornare in campo abbracciando il progetto di Giorgia Meloni. Il 9 giugno 2021 è nominato presidente del Copasir, incarico che ha ricoperto fino a fine legislatura e all’elezione al Senato.

Ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare: FRANCESCO LOLLOBRIDIGIDA (Fdi)
“Non è inedito, c’è l’hanno anche in Francia e sono quelli che hanno difeso meglio i loro prodotti”. Con queste parole (e una mezza giustificazione) Francesco Lollobrigida ha aperto l’epoca del suo dicastero che, da ora in poi, si chiamerà dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. 50 anni, ex capogruppo a Montecitorio e tra i fondatori di Fdi, è uno degli uomini più fidati di Giorgia Meloni: nato a Tivoli, è cognato della leader (è sposato con Arianna Meloni, ma odia essere identificato come “il cognato” o peggio ancora il “first cognato”) e pronipote di Gina Lollobrigida. La sua carriera inizia nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, guidando l’organizzazione missina nella Provincia di Roma fino al 1995. Nelle istituzioni comincia come consigliere comunale a Subiaco, poi provinciale di Roma, poi assessore allo sport ad Ardea, e Consigliere regionale nel Lazio. Dal 2010 al 2013 è stato assessore con deleghe regionali alla mobilità e ai trasporti nella giunta regionale del Lazio di Renata Polverini. Nel 2013 diventa responsabile nazionale “organizzazione” di Fratelli d’Italia.

Ministro dell’Ambiente e Sicurezza energetica: GILBERTO PICHETTO FRATIN (Forza Italia)
Classe 1954, originario del paesino piemontese di Veglio, dopo la laurea in Economia e l’iscrizione all’ordine dei commercialisti Gilberto Pichetto per qualche anno ha insegnato ragioneria in un istituto tecnico biellese. Ha esordito in politica, ventenne, come consigliere comunale per il Partito repubblicano. Folgorato da Forza Italia, dopo diversi incarichi nel consiglio regionale del Piemonte nel 2008 è approdato al Senato per il Pdl. “Trombato” alle politiche 2013 e sconfitto da Sergio Chiamparino nella corsa a governatore, è tornato in Parlamento cinque anni dopo. Da viceministro allo Sviluppo del governo Draghi ha coordinato il tavolo automotive – con risultati scarsi, visto che continua a mancare un piano per la gestione della transizione all’elettrico – e seguito passo passo il difficile parto del disegno di legge sulla concorrenza, che ha più volte spaccato la ex maggioranza. Gran mediatore e portavoce del partito della responsabilità (anche sul fisco: non ha mai fatto promesse spericolate di flat tax), cambia postura quando in ballo ci sono gli interessi delle imprese. La plastic tax gli fa orrore e giudica “ideologico” e prematuro lo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035. E’ a favore di un raddoppio della produzione di gas nazionale e del ritorno al nucleare in nome dell'”autonomia energetica”. Non risulta si sia mai occupato di pubblica amministrazione.

Ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibile: MATTEO SALVINI (Lega)
Per il leader del Carroccio, come previsto, non riesce il bis al Viminale. E probabilmente, dopo il flop elettorale, non ci aveva mai creduto neppure lui. Le trattative delle ultime settimane, però, gli sono valse il ministero delle Infrastrutture e la poltrona di vicepresidente del Consiglio. L’ambizione ora, dicono i ben informati, è quella di poter gestire i fondi del Pnrr e puntare a far partire, addirittura i lavori per il Ponte sullo Stretto. Quasi 50 anni, nato a Milano, inizia la sua carriera nel partito di Umbero Bossi, a 17 anni, e intanto lavora a La Padania come giornalista. Inizia subito la carriera politica: prima responsabile del settore dei giovani, fino al ’97, poi segretario cittadino, infine, da 1998 al 2004, segretario provinciale. Nel 2004, con 14mila preferenze, viene eletto per la prima volta all’Europarlamento. Rieletto nel 2009, ma con il quadruplo dei voti. Intanto arriva l’elezione in Parlamento a Roma. Ma la scalata del leghista è prima di tutto al partito: è lui che nel 2013 prende il partito al 4% e inizia l’allargamento (in Italia al Sud, in Europa sempre più vicino a Marine Le Pen e affini) fino ad arrivare al 34% alle europee del 2019. Sarà sempre Salvini ad accompagnare i suoi nel governo gialloverde, poi bruscamente interrotto nell’estate del Papeete con la crisi del Conte 1. La Lega finisce all’opposizione, poi torna al governo con Mario Draghi, nell’esecutivo di unità nazionale, che ha una sola forza all’opposizione, quella Fdi guidata dalla alleata-rivale Giorgia Meloni, con cui ora Salvini torna al governo. Proprio i 20 mesi con l’ex banchiere centrale lo hanno penalizzato, con i consensi che sono scesi sotto il 9% alle ultime elezioni, battuto nel derby di centrodestra dalla Meloni, che gli ha negato il Viminale, per chiedergli di accomodarsi alle Infrastrutture. Da lì, ora, dovrà cercare di recuperare i consensi per mantenere gli equilibri nella coalizione (e nel partito). È ancora sotto processo a Palermo con l’accusa di omissione di atti d’ufficio e sequestro di persona, per aver negato, quando era ministro dell’Interno, lo sbarco a Lampedusa dei migranti soccorsi da una barca della ong Open Arms.

Ministra del Lavoro e Politiche Sociali: MARIA ELVIRA CALDERONE (Tecnica)
Classe 1965, sarda, Marina Elvira Calderone ha una laurea in Economia aziendale internazionale ed è consulente del lavoro dal 1994. Insieme al marito, l’avvocato calabrese Rosario De Luca, ha una società che fa consulenza del lavoro con sedi a Roma, Cagliari e Reggio Calabria. Nel 2004 diventa presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, che conta più di 25 mila professionisti che affiancano più di un milione di aziende, dove oltre alla consulenza giuslavoristica compilano le buste paga e forniscono indicazioni su ammortizzatori sociali e obblighi previdenziali. Entra nel governo in qualità di tecnico, eppure la politica l’ha frequentata parecchio e in modo trasversale. Dal M5s di Conte e Di Maio, fino alle feste di Atreju, la compagine giovanile di Fratelli d’Italia. Oggi è considerata una fedelissima di Giorgia Meloni, ma già il governo di Matteo Renzi la nominò nel cda di Leonardo. Nel 2019 M5s e Lega spingono la Calderone per la presidenza dell’Inps. Poi avrà la meglio Pasquale Tridico, ma una delle quattro poltrone nel cda dell’Istituto di previdenza andrà al marito di lei, presidente della Fondazione studi dello stesso Consiglio nazionale consulenti del lavoro. Incarico che avrebbe potuto comportare un conflitto d’interessi, visto che l’ente previdenziale è sottoposto alla vigilanza del ministero del Lavoro. Vista la posta in gioco, De Luca ha appena rinunciato. Ma le perplessità sui possibili conflitti permangono a causa di posizioni che l’Ordine dei consulenti ha sostenuto negli anni, anche di fronte al ministero. Dalle richieste di maggiore flessibilità su appalti e sicurezza sul lavoro in materia edilizia, a quella del giugno 2021, quando, ricorda il Manifesto, si propose “l’esclusione dei dipendenti in smart working dal computo dell’organico aziendale per la determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere“. In pratica, di usare il lavoro agile per doverne assumere meno. Temi sui quali non potranno mancare occasioni di verifica. Ma il primo dossier sarà probabilmente il Reddito di cittadinanza, quello che la Meloni definì “metadone di stato”. Calderone e consorte non hanno mai detto che va cancellato. Piuttosto, hanno spesso ribadito, “bisogna investire sulle politiche attive con il coinvolgimento dei privati, c’è poco da girarci attorno”.

Ministra dell’Istruzione e Merito: GIUSEPPE VALDITARA (Lega)
Giuseppe Valditara, milanese, 61 anni, è stato fino ad oggi professore ordinario di Diritto romano all’Università di Torino e all’Università Tor Vergata di Roma. Avvocato, è presidente dell’Osservatorio inter-ateneo per la ricerca università Link ed e-Campus. Dall’ottobre 2018 al dicembre 2019, ha ricoperto l’incarico di capo dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca del Miur. Andando indietro nel tempo, tra il 2005 e il 2011 è stato preside della Facoltà di Giurisprudenza all’Università Europea di Roma. Nel 2005 è stato invitato a Pechino nell’ambito dei lavori per la preparazione della legge cinese sulla responsabilità extracontrattuale. Allievo di Gianfranco Miglio, entra in Parlamento con Alleanza Nazionale: senatore tra il 2001 e il 2013, segue poi Gianfranco Fini in Futuro e Libertà. Recentemente si è avvicinato alla Lega e a Matteo Salvini.

Ministro dell’Università e ricerca: ANNAMARIA BERNINI (Forza Italia)
Alla festa del Fatto quotidiano, neanche due mesi fa, Annamaria Bernini si definiva “una liberale di destra” e tirava una frecciata a Maurizio Gasparri: “Come vivo o muoio io non lo decide”. Ora con chi è contrario a fine vita, ma anche aborto e unioni civili, Bernini siederà al governo. Già ministra per le Politiche europee nel governo Berlusconi IV, nel 2011, è stata scelta per essere la nuova ministra dell’Università. Nata a Bologna nel 1965, òa sua carriera è iniziata in Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, diventando poi esponente del Popolo della Libertà e, infine, di Forza Italia. Eletta in Parlamento per la prima volta nel 2008, nel 2010 corre alle Regionali dell’Emilia-Romagna come candidata di centrodestra. Alle Politiche 2013 viene eletta senatrice del Popolo della libertà, salvo poi aderire alla rinata Forza Italia dal 16 novembre dello stesso anno. Nel 2018 è rieletta a Palazzo Madama, ricoprendo la carica di capogruppo dei senatori azzurri e affianca Antonio Tajani come vicecoordinatrice nazionale del partito. Bernini è avvocata e docente universitaria di diritto pubblico, ma soprattutto fedelissima di Berlusconi. Nel 2013, durante la seduta in Parlamento per il voto sulla decadenza da senatore del Cavaliere, Bernini scelse di vestirsi di nero in segno di lutto.

Ministro della Cultura: GENNARO SANGIULIANO (Tecnico/Area Fdi)
Uno dei tanti segnali che Sangiuliano avrebbe avuto un ruolo nel governo Meloni, era arrivato dal comizio di Meloni a Milano il primo maggio scorso. Nella convention organizzata per lanciare la conquista a Palazzo Chigi, la leader volle proprio il direttore del Tg2 a fare un’introduzione storica. Un comizio politico che venne fortemente criticato, ma che era solo uno dei passi di avvicinamento. Ed ecco che oggi, Sangiuliano diventa ministro della Cultura. Napoletano, classe 1962, laureato in giurisprudenza e con un dottorato in Diritto ed Economia, muove i primi passi nel giornalismo entrando a Canale 8. Dirige poi il quindicinale ‘L’Opinione del Mezzogiorno’ e collabora con il periodico ‘Economy’. Nei primi anni ’90, Sangiuliano approda al quotidiano ‘L’Indipendente’ e, nel 1996, dopo aver lavorato nella redazione politica, diventa direttore del quotidiano napoletano ‘Roma’, che guiderà fino al 2001. Passa poi al quotidiano ‘Libero’ durante la gestione di Vittorio Feltri. Tra le altre collaborazioni, quelle con ‘L’Espresso’, la sezione culturale de ‘Il Sole24Ore’, ‘Il Foglio’ e ‘Il Giornale’. Sangiuliano entra in Rai nel 2003, come inviato del Tg regionale della Campania. Viene promosso caporedattore e quindi approda al Tg1, dove lavora come inviato in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Nel 2009, sotto la direzione di Augusto Minzolini, è nominato vicedirettore. Nel 2018, succede a Ida Colucci alla direzione del Tg2, su proposta dell’ad della Rai Fabrizio Salini. Sotto la sua direzione, viene varato il ‘Tg2 Post’, l’approfondimento serale della seconda rete. Nel 2001, Sangiuliano aveva tentato la carriera politica: si candida alla Camera dei deputati con la neonata Casa delle Libertà, nel collegio Chiaia-Vomero-Posillipo, ma non viene eletto. All’attività di giornalista Sangiuliano accompagna quella di saggista (dalla biografia di Giuseppe Prezzolini a quelle di Vladimir Putin, Hilary Clinton, Donald Trump, Ronald Reagan e XI Jinping). Dal 2015 Sangiuliano è direttore della scuola di giornalismo dell’Università degli Studi di Salerno, dal 2016 docente del corso di Storia dell’economia e dell’impresa presso la Luiss Guido Carli a Roma.

Ministro della Salute: ORAZIO SCHILLACI (Tecnico)
Per il conteso ministero della Salute, Giorgia Meloni ha scelto un tecnico. A essere nominato sarà Orazio Schillaci, da novembre 2019 rettore dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Il dicastero a cui puntava Forza Italia, andrò nelle mani dell’accademico che non ha mai ricoperto incarichi di partito. 56 anni, originario di Roma, è stato dal 2013 preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, e dal 2007 è Professore Ordinario di Medicina Nucleare. Dal 2001 è poi direttore della UOC di Medicina Nucleare del Policlinico Tor Vergata; è anche presidente dell’Associazione Italiana Medici di Medicina Nucleare. Schillaci è stato membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, nominato dal ministro uscente, Roberto Speranza, lavorando a fianco del presidente dell’Istituto Silvio Brusaferro. Tra i primi a fare gli auguri a Schillaci, c’è stato l’ex consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi: “E’ una persona di valore, sia professionale che umano. Lo ha dimostrato in tutti i ruoli che ha ricoperto: di docente, preside, rettore. Sono sicuro che saprà far bene alla guida della Salute”.

Ministro del Turismo: DANIELA SANTANCHÈ (Fdi)
Il Turismo va a Daniela Garnero Santanchè. Proprietaria del Twiga, il celebre beach bar di Forte dei Marmi, la sua storia parte da Cuneo, dall’amicizia storica con il socio Flavio Briatore che ne fa la regina delle feste in Costa Smeralda. Sposa il chirurgo plastico Paolo Santanché e ne acquisisce il cognome che non lascerà più. La sua ascesa in politica è legata a La Russa, nella Milano anni Novanta, di cui è assistente personale e alla nascita di Allenza Nazionale che poi ripudierà: la destra finiana è troppo “annacquata” per lei. Prova a fare la sua “La Destra” insieme a Storace, si candida premier contro Berlusconi, poi rientra nei ranghi con Denis Verdini, con cui fonda il Movimento per l’Italia (Mpl) che confluirà nel Pdl. Viene nominata sottosegretario per l’attuazione del programma senza esser stata eletta. Caduto Berlusconi, esce dai palazzi romani fino al 2013, quando aderisce a Forza Italia. Berlusconi la nomina “responsabile raccolta fondi del partito”, è campionessa di assenze in Parlamento (al 623esimo posto su 630). Nel 2017 passa a Fdi che la elegge al Senato: oggi Giorgia Meloni la riporta al governo, per la prima volta da ministra.

Hanno collaborato Franz Baraggino, Chiara Brusini, Mauro Del Corno, Pierluigi Giordano Cardone, Thomas Mackinson, Andrea Tundo, Gianni Rosini