Cronaca

Vaccini Covid, un’alleanza tra produttori italiani guidata dallo Stato? Il presidente dell’Aifa: “Sì a sinergia, ma serve volontà politica”

Giorgio Palù, che guida da poche settimane l'Agenzia italiana del farmaco: "Abbiamo molte industrie medio grandi che potrebbero collaborare magari anche solo di una delle fasi di cui si compone la filiera produttiva". Il consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi: “Le istituzioni pubbliche possono esercitare una moral suasion per far sì che questo diventi realtà"

Le continue riduzioni sulle consegne dei vaccini si estendono anche a Moderna (-20%), dopo Pfizer (-20/30%) e Astrazeneca (-60%). In questa fase così delicata è necessario trovare soluzioni immediate. È lecito chiedersi se lo Stato possa guidare un’alleanza tra produttori, per intensificare la produzione dei vaccini (Pfizer, Moderna o AstraZeneca) in tempi rapidi. Per esplorare questa possibilità, il Fatto Quotidiano ha intervistato il Presidente di Aifa, Giorgio Palù, e il consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi.

Sia strutture pubbliche che private (come industrie farmaceutiche fuori dalla corsa dei vaccini), andrebbero coinvolte ma “questo può avvenire solo tra produttori che abbiano piattaforme tecnologiche adeguate per produrre mRna messaggero – sottolinea Palù -, non tutti dispongono di queste competenze e logistiche. È necessaria quindi la compatibilità delle strutture”. Sanofi ha dichiarato che produrrà 100 milioni di dosi del vaccino Pfizer, anche la Novartis firma un accordo per supportare la produzione. Tre Big concorrenti trovano un accordo produttivo “sicuramente è un primo esempio concreto di quello che si chiama trasferimento tecnologico della produzione, è un esempio concreto di una buona prassi che io spero venga generalizzata, non soltanto l’Europa, ma a tutto il mondo – dice Ricciardi – nel nostro paese ci sono realtà con queste capacità produttive, è opportuno che si possa fare anche in Italia. Certo, questo dipende dagli accordi commerciali che le aziende devono fare tra di loro”. Va anche detto che “abbiamo molte industrie medio grandi (Menarini, Zambon, Chiesi), che potrebbero collaborare nella produzione, magari anche solo di una delle fasi di cui si compone la filiera produttiva di una vaccino, accelerando le produzioni ma – puntualizza il presidente dell’Aifa – questa azione di stimolo verso un’alleanza tra produttori, non è di competenza dell’ente regolatore”. Per poter dare un’impronta in tal senso “ci deve essere la volontà politica, che va espressa ai massimi vertici, un’iniziativa del Governo insomma, presidente del Consiglio e vari ministeri” che coordinino un’operazione specifica, riunendo le industrie italiane “che dispongano di tecnologie sovrapponibili – conclude Palù – in tal caso ci potrebbe essere una sinergia tra piattaforme simili”.

Il ruolo della politica, quindi, deve essere preminente per poter sollecitare una compressione dei tempi produttivi e un aumento delle produzioni, “le istituzioni pubbliche possono esercitare una “moral suasion” per far sì che questo diventi realtà – conferma Ricciardi – bisogna andare più rapidamente possibile verso una copertura vaccinale di quante più persone al mondo, per evitare che si ritardi e ci siano ulteriori mutazioni del virus che rendono vano questo tentativo”. L’appello del Presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, è chiaro: vaccinare i fragili (anziani e pazienti oncologici) e vaccinarli in tempi stretti. Ma come? Gli Stati hanno finanziato la ricerca privata, ma hanno gli strumenti per imporre una strategia produttiva allargata e virtuosa? Uno Stato, ha strumenti convincenti per stimolare la produzione allargata del miglior vaccino (per efficacia) a più poli produttivi? “No, stando agli accordi internazionali alle leggi internazionali, gli Stati possono e devono far rispettare i contratti che loro hanno firmato, – ma, aggiunge Ricciardi – possono lavorare naturalmente su una moral suasion ma non possono imporre una produzione condivisa a strutture private”. Pochi giorni fa Silvio Garattini, ribadiva una proposta sollevata già a dicembre, ovvero la possibilità di applicare una sospensione dei brevetti (esistono deroghe in tal senso previste dagli accordi “TRIPS”, art.30-31, nel Wto, ovvero l’Organizzazione mondiale del commercio), certo è che “il brevetto è la garanzia per l’industria per fare profitto”. Storicamente, una sospensione di brevetto, avvenne nel 1997 in Sudafrica. Le terapie contro Aids potevano costare fino a 10mila dollari, il presidente Mandela sancì il Medical Act, che sospendeva di fatto i brevetti e iniziò a produrre localmente farmaci generici a bassissimo costo.

Se la strada che porta al Wto prevede questa possibilità, sono ignoti i tempi per la sua concreta realizzazione. È invece possibile, e necessario nell’immediato, che le Nazioni “stimolino” una cooperazione produttiva d’emergenza, con una quadra sui “contratti”, e soprattutto dettando una road map sui tempi “gli Stati possono stimolare una Cooperazione nella produzione, la possono auspicare, ma – su questo punto è netto Ricciardi – non hanno strumenti legali, al di là dei contratti firmati dalle due parti, per obbligare un’azienda privata a fare una una produzione coatta”. Eppure, i soldi pubblici sono tracciabili. La Pfizer, ha beneficiato di quasi 2 miliardi di dollari provenienti dall’operazione “Warp Speed” del governo americano “per la produzione e consegna su larga scala di 100 milioni di dosi”. La BioNTech ha beneficiato di 445 milioni di dollari concessi dal ministero tedesco della ricerca e dell’educazione per la ricerca e lo sviluppo. A questi si aggiunge il prestito da 118 milioni di dollari concessi dalla Banca europea degli investimenti a BioNTech.

Il tempo in questa pandemia non è una variabile neutra. Tre anni, è la finestra temporale necessaria ai Paesi europei per vaccinare il 70% della propria popolazione, andando al passo del primo mese di somministrazioni. Questo il tempo calcolato dall’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), per raggiungere la soglia necessaria per l’immunità di gregge, o quantomeno andarci molto vicino. Parametro molto diverso da quello chiesto, la settimana scorsa, dalla Commissione europea che sollecitava il raggiungimento di tale immunità entro settembre 2021. Quello che è certo è che Covid 19 è una malattia tempo-correlata “appena si inizia a vaccinare la popolazione, si induce indirettamente una pressione selettiva sul virus che sarà portato a mutare – chiosa Palù – se potessimo vaccinare tutti in un colpo solo, avremmo risolto, ma è complicato”. Inoltre, se il vaccino non sarà disponibile anche negli altri continenti, come Africa, Asia e Sud America, in tempi razionali, si rischia un ping pong del virus, con ipotetiche mutazioni non prevedibili. “Pensare di proteggersi con il vaccino ignorando vaste aree mondiali è assolutamente miope – conferma il consigliere del ministro – è semplicemente impossibile uscire dalla pandemia così, per cui ci dev’essere una responsabilità collettiva. È necessario però farlo veramente”. In effetti, “quando parliamo di immunità di gregge ancora ci riferiamo al livello nazionale, come si faceva negli anni 50′, ma in realtà dovremmo far riferimento all’intero globo. Non c’è sito nell’orbe terracqueo che non è stato toccato dal virus, anche l’Antartide – spiega Giorgio Palù – se io vaccino tutta Italia o tutta la Gran Bretagna ma poi ho cittadini che vanno in giro per il mondo, dove non c’è stata copertura vaccinale si rischia lo stesso”. Insomma, “dovrebbe esserci un intento globale, universale, Stati Uniti Cina Europa e Russia, deve essere uno sforzo universale. Certo, già mettere insieme gli stabilimenti europei sarebbe un passo avanti enorme, qui si produce il 70% dei vaccini”.

C’è poi il capitolo anticorpi monoclonali di cui il FattoQuotidiano si è ampiamente occupato in un’inchiesta a firma di Thomas Mackinson. Utilizzati da mesi negli Stati Uniti, ora fanno parte anche dell’arsenale del personale sanitario in Germania. In Italia, invece, ancora non è possibile usare quest’arma. “Mi sono fatto promotore in Aifa per attivare anche in Italia l’approvazione dei monoclonali c’è la possibilità di bandirlo con la legge 648, oppure oppure con il D. Lgs 219/2006 art. 5 comma 2 su iniziativa diretta del ministro della Salute, come fu fatto per l’emergenza Ebola, autorizzando l’uso di medicinali non ancora immessi in commercio – e conclude Giorgio Palù – adesso è il momento di usarli anche in Italia. Non possiamo più esitare”. Questi farmaci hanno dimostrato un’efficacia importante se somministrati in fase precoce. Il Fatto Quotidiano ha sottolineato l’importanza del raggiungimento di questa autorizzazione in più occasioni, “apprezzo e condivido l’iniziativa del Fatto Quotidiano. È acclarato che gli anticorpi monoclonali possano prevenire le ospedalizzazioni registrando un’efficacia anche dell’80% in alcune popolazioni”.