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Ucraina, un anno dopo Putin dà il meglio del suo repertorio

Il discorso di Putin alla Duma a due giorni dall’anniversario di quella che doveva essere “l’operazione speciale” e che è diventata una brutale guerra di annientamento della popolazione civile ucraina, con magrissimi risultati sul campo, certifica come la Federazione Russa sia sprofondata in una spirale di autodistruzione e paranoia. A colpi di contraffazione della realtà, negazione di ogni evidenza, convinzione di poter piegare ogni fatto alla sua formidabile macchina propagandistica, il delirio di onnipotenza di un autocrate che è riuscito a personificare l’assolutismo zarista e la dittatura sovietica racconta agli “eletti” che la Russia non è l’aggressore, ma l‘aggredito.

Putin, se ce ne fosse ancora bisogno, ha fatto inesorabilmente chiarezza e ha spazzato via le pseudo-argomentazioni e le remore interessate dei suoi molteplici e trasversali amici assillati dal timore reverenziale di “non umiliarlo”. Ha scandito che non si tratta più di una guerra per “denazificare” i nazionalisti nazisti e debosciati dell’Ucraina e neanche per “garantire protezione” alle popolazioni russofone in Donbass e Crimea o per contrastare l’espansione della Nato, peraltro favorita se non necessitata dalla minaccia rappresentata per i paesi confinanti dal suo regime dispotico.

E’ arrivata l’ora per Vladimir Putin di “scrivere una nuova pagina” e di portare avanti una guerra totale ed “esistenziale” contro “l’Occidente che vuole portare la Russia ad una sconfitta strategica. Vogliono eliminarci per sempre“. Il riferimento esplicitato è quello a una lotta di resistenza come quella patriottica contro il nazismo nella seconda guerra mondiale. E’ l’Occidente che avrebbe ingannato la Russia e che vorrebbe “spazzare via la Federazione dalle mappe”. E con l’ennesima operazione di mistificazione o, per usare un eufemismo, di spericolato revisionismo storico, lo zar – con un occhio alla prossima elezione nel 2024 che gli garantirebbe il potere a vita – chiama a raccolta il popolo russo, perché si stringa attorno al suo capo contro “quelli che hanno fatto cominciare la guerra”, mentre “noi siamo sempre stati amichevoli con gli ucraini e usiamo la forza per fermare la guerra”.

Naturalmente in una guerra “di sopravvivenza” a cui la Russia sarebbe stata costretta, secondo il copione ripetutamente avallato dall’amico Silvio Berlusconi, dopo un anno di imprevedibile ed eroica resistenza ucraina grazie anche al sostegno dell’Occidente, è chiaro che per raggiungere i suoi obiettivi la Russia continuerà “sistematicamente” l’offensiva in Ucraina. E lo farà “a tutti i costi” e con “ogni mezzo”, lasciando intendere l’eventualità di un ricorso alle armi nucleari tattiche che comunque “non useremo mai per primi”. Dopo aver ribadito che “sconfiggere la Russia sul campo di battaglia è impossibile”, Putin secondo uno schema già collaudato di climax anti-Ucraina ribadisce “la grandissima responsabilità su ognuno di noi per difendere il nostro paese e liquidare la minaccia del regime neonazista”. Un regime che secondo la ricostruzione storica putiniana voleva dotarsi di armi nucleari per attaccare non solo il Donbass, ma anche la Crimea.

Si può dire che in occasione dell’anniversario dell’operazione speciale Putin ha dato il meglio del suo repertorio, con la riproposizione, in termini più iperbolici di sempre, della mistificazione dai tratti surreali della sua brutale e sciagurata aggressione spacciata come legittima difesa dai neonazisti di Kiev, capeggiati dall’Hitler ebreo Zelensky. D’altronde si trattava di celebrare un anno che ha registrato una serie di umiliazioni sul campo senza precedenti nella storia russa, in cui il suo paese si è contraddistinto per crimini di guerra tanto efferati quanto negati con manipolazioni di ogni genere, in cui i referendum farsa in Donbass sono stati rigettati con soli 5 voti contrari all’Onu e l’isolamento internazionale si è progressivamente intensificato.

Beninteso che Putin rimane “uomo di pace”, disponibile più che mai a sedersi al tavolo negoziale, a cui si oppone solo l’occidente “crudele e degradato” e più ancora “il signore che è la causa della devastazione del suo paese e della strage dei suoi soldati e dei suoi civili”, uno con cui Giorgia Meloni non avrebbe mai dovuto incontrarsi, come ha declamato ad urne aperte l’amico Silvio. Naturalmente Mosca ha altamente gradito l‘ennesimo omaggio di Berlusconi che ancora una volta ha cercato di mettere in difficoltà il governo sul fronte internazionale e di screditare Zelensky per lucrare qualche voto e magari, nella sua megalomania, per accreditarsi come grande “pacificatore”, tanto più dopo l’ultima assoluzione con annessa beatificazione.

Infatti la portavoce di Lavrov Maria Zakarova ha difeso energicamente l’amico dello zar dal presunto attacco di Zelensky che, rispondendo a una domanda in conferenza stampa, ha semplicemente constatato che il signor Berlusconi “non è dovuto fuggire nel cuore della notte sotto le bombe e non ha avuto i carrarmati nel suo giardino”. Per Mosca si è trattato di “un attacco di rabbia impotente del signore del bunker”; in Italia abbastanza curiosamente diversi commentatori l’hanno considerato “un insulto di Zelensky a Berlusconi” e “un’umiliazione” per Meloni – che peraltro in un clima sempre amichevole non ha manifestato il minimo segno di umiliazione e ha ribadito a Kiev il sostegno dell’Italia “senza tentennamenti”. Il problema originale di questo esecutivo in politica estera è “la zavorra” rappresentata dal duo Berlusconi-Salvini e non da una risposta puntuale di Zelensky.