Scuola

Scuola, le Regioni accusano il governo sulle regole. Cosa hanno fatto fino a oggi? Cronologia di un anno di tavoli inconcludenti su orari differenziati e trasporti

Dal 26 aprile torneranno in classe fino a 8 milioni di studenti, ma il piano di scaglionamenti per non pesare sui trasporti ancora non c'è. Dopo dieci mesi di promesse mancate, scaricabarile e inefficienze, il governo Draghi ci riprova, annunciando un "tavolo" con gli enti locali. Che però ora lamentano la fuga in avanti del Cdm sulla percentuale di alunni in presenza. Timori di sindacati e presidi. E tra i direttori degli Usr serpeggia il malcontento: ecco la situazione regione per regione

La scuola riapre (di nuovo) senza tempi differenziati. A quasi un anno dal primo documento del governo in cui si ipotizzava di scaglionare gli orari di ingresso e uscita dagli studenti – elaborato dalla task force del Miur guidata da Patrizio Bianchi, poi diventato ministro -, il tema torna al centro della contesa tra governo e regioni. L’intenzione iniziale di Mario Draghi, ufficializzata in conferenza stampa, era quella di riportare “completamente in presenza nelle zone gialle e arancioni” i ragazzi già da lunedì prossimo. Una promessa nata e morta nel giro di quattro giorni, perché in mancanza di un piano adeguato per evitare che la pressione sui mezzi pubblici aumenti eccessivamente i governatori hanno chiesto di procedere con gradualità, partendo da un minimo di 60% in presenza e 40 a distanza. L’accordo sembrava fatto, ma poi in Consiglio dei ministri l’asticella è stata alzata all’ultimo minuto al 70%. È da qui che nasce la reazione scomposta del presidente della Conferenza delle regioni Massimiliano Fedriga, secondo cui per rispettare i parametri del governo servono “15-20mila autobus in più”. Che cosa è stato fatto fino a oggi? Il paradosso è che tra annunci caduti nel vuoto, scaricabarile tra ministri e regioni, inefficienza di alcuni enti locali, presidi che rivendicano l’autonomia scolastica e sindaci senza poteri, negli ultimi dieci mesi si è perso solo tempo. La promessa di preservare a qualunque costo le lezioni in presenza è rimasta sulla carta, travolta a ottobre dalla seconda ondata e a febbraio dalla terza. E anche ora, dopo l’insediamento a Palazzo Chigi dell’ex capo della Bce, le cose non sembrano cambiate. Nei giorni scorsi la ministra degli Affari regionali Mariastella Gelmini ha annunciato di aver “attivato un tavolo con il ministro Giovannini, Regioni ed Enti locali”, ma il timore di sindacati e presidi è che la storia si ripeta un’altra volta, con uno schema di orari nelle città ancora impreparato ad accogliere i milioni di studenti che da lunedì 26 aprile torneranno ad affollare autobus, treni e metropolitane.

D’altronde che il problema sia soprattutto organizzativo e non riguardi solo il numero di corse disponibili lo aveva già spiegato nell’ottobre scorso a Ilfattoquotidiano.it l’esperto di Economia della mobilità urbana alla Bocconi di Milano Gabriele Grea. “Sicuramente bisogna ricorrere a tutte le risorse disponibili“, sosteneva il docente, ma “mettere più mezzi in strada comporta oltre un certo limite problemi riorganizzativi complessi e di risorse limitate”. L’unica soluzione è “ricalendarizzare le attività della nostra quotidianità”, spostando in avanti gli orari delle scuole, ma anche delle “attività economiche”. Una strada, quella di rivedere i tempi delle nostre città, che in tanti avevano promesso di percorrere, dal sindaco di Milano Giuseppe Sala ai governatori Fontana, Cirio e Bonaccini, fino all’ex ministra Paola De Micheli. Salvo poi lasciare praticamente quasi tutto invariato. Ora che il problema è riemerso, almeno sulla scuola assessori ai trasporti e prefetti dovranno incontrare nuovamente gli uffici scolastici delle rispettive Regioni per trovare una quadra. Un direttore Usr che chiede il massimo riserbo rivela al Fatto.it che nessuno è in grado di dire qualcosa su cosa accadrà da lunedì. Chi guida gli uffici preferirebbe avere nelle proprie mani la possibilità di scegliere in che percentuale passare dalla dad alla didattica in presenza, almeno alle superiori. Per capire come si è arrivati a questo punto, però, con un calendario da ripensare in meno di una settimana, è necessario fare un passo indietro.

Dal Piano scuola di giugno 2020 alle prime chiusure – Il primo documento in cui si parla di scaglionamenti a scuola risale al giugno 2020, quando il ministero ha messo in piedi una task force per ripensare la didattica in tempi di coronavirus. Nel Piano firmato dall’allora ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina si ipotizza “una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici”. Durante l’estate i dirigenti scolastici si mettono al lavoro per acconsentire una riapertura che possa garantire la sicurezza per tutti. Sono poche le Regioni che adottano una turnazione differente: sono tutti più preoccupati a garantire il distanziamento. E’ il tempo in cui si parla di un metro da banco a banco oppure da bocca a bocca e nessuno (o quasi) pensa ancora alla seconda ondata. Il 6 agosto ministero e sindacati, dopo una tesa trattativa, arrivano a firmare il protocollo di Sicurezza dove si esplicita che “ogni scuola dovrà disciplinare le modalità che regolano tali momenti in modo da integrare il regolamento di istituto, con l’eventuale previsione, ove lo si ritenga opportuno, di ingressi ed uscite ad orari scaglionati, anche utilizzando accessi alternativi”. Tutto resta lettera morta, finché il coronavirus torna a correre e il governo in autunno è costretto a varare nuove misure per evitare di dover richiudere le scuole.

Lite tra ministeri, Azzolina contro De Micheli – Nel dpcm del 18 ottobre, il penultimo prima della creazione del sistema a colori in vigore ancora oggi, il governo prevede esplicitamente l’ingresso alle nove per le scuole superiori in situazioni critiche e di particolare rischio. Le promesse della politica per trovare una soluzione si rincorrono. Il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, assicura “massima collaborazione all’esecutivo e alla ministra De Micheli, perché abbiamo visto che solo in questo modo si possono trovare le soluzioni. Il presidente di Anci Antonio Decaro porterà alcune soluzioni, tra queste anche l’ipotesi di scaglionare gli ingressi e le uscite dalle scuole, perché a parità di autobus si può alleggerire la fascia oraria di punta”. Anche Clemente Mastella il 17 ottobre da Avellino sottolinea quanto sia necessario riorganizzare gli orari per evitare assembramenti. A inizio novembre, però, con gli ospedali che tornano a riempirsi di malati, alle superiori torna la didattica a distanza. In Campania, le lezioni online si fanno anche alla primaria. Nelle regioni torna la paura. La ministra Lucia Azzolina tenta la strada del rientro il 9 dicembre, ma è costretta a fare retromarcia.

Il Miur ha il dente avvelenato con la ministra De Micheli, ritenuta colpevole di non aver organizzato in tempo i trasporti per la riapertura a dicembre, mentre al Mit puntano il dito contro la mancanza degli scaglionamenti nelle singole scuole. In quei giorni la ministra dei Trasporti scrive una lettera al premier Giuseppe Conte e per conoscenza alla Azzolina nella quale fa presente che, alla luce delle simulazioni fatte sulle città di Milano, Roma e Napoli, nonostante la previsione di un’offerta di servizi aggiuntivi, i limiti possono essere ovviati solo rimodulando la domanda. La missiva conclude con una richiesta al ministero dell’Istruzione, alle Regioni e alle associazioni di categoria: riorganizzare completamente il piano orari delle scuole. A frenare l’ipotesi sono i governatori, che in una riunione di dicembre con l’ormai ex ministro per gli affari regionali Francesco Boccia e della Salute Roberto Speranza chiedono di prolungare la didattica a distanza per i licei fino a gennaio. Dal cappello di Azzolina, secondo alcune fonti su suggerimento dell’allora coordinatore del Cts Agostino Miozzo, esce l’idea di coinvolgere i prefetti. La palla passa nelle loro mani. Le ipotesi su cui si lavora sono quelle avanzate dal Mit: scaglionare gli ingressi e le uscite su due turni mattutini e pomeridiani intervallati da almeno novanta minuti (ad esempio 8/9.30 e 13.30/15); noleggiare autobus privati con conducente e rafforzare le tratte usate dagli studenti.

A gennaio si riapre, poi tutto salta di nuovo – Si arriva a gennaio, con alcune regioni più pronte di altre. A Torino si punta alla didattica in presenza con due turni di ingresso, alle otto e alle dieci e potenziamento dei mezzi soprattutto nel capoluogo piemontese. A Genova ingressi in classe in due momenti: dalle 7,45 alle 8 e dalle 9,30 alle 9,45. L’orario di uscita non sarà mai oltre alle 16. L’Azienda mobilità e trasporti organizza 12 percorsi dedicati ai ragazzi con 32 mezzi. A Bologna i 30mila allievi entrano in due ore differenti: le 8,15 e le 9. Uscita pure scaglionata: 12,30 e 14. Il 7 gennaio la ripartenza avviene quindi a macchia di leopardo. Abruzzo, Calabria e Campania (a eccezione della provincia di Benevento) introducono una certa flessibilità oraria. Turni differenziati anche in Friuli Venezia Giulia (tranne la provincia di Gorizia), Liguria, Lombardia, Puglia, Toscana (ad eccezione della provincia di Lucca che già prevedeva esclusivamente una flessibilità in entrata). Mentre poco o niente si muove in Basilicata, Molise, Sardegna (tranne la provincia di Cagliari che, solo per i licei, mantiene il doppio turno di ingresso) e Veneto (ad eccezione della provincia Treviso). Stessa cosa in Piemonte, Marche, Sicilia e Umbria. Le lezioni in presenza però durano poco: la terza ondata di Covid costringe di nuovo le scuole a chiudere in base alle zone di rischio.

Verso il 26 aprile, le parole (vaghe) di Draghi e Bianchi – A parlare per primo di un rientro al 100% per tutti è il presidente del Consiglio Draghi, che il 16 aprile in conferenza stampa annuncia: “Dal 26 aprile tornerà la zona gialla e le scuole riapriranno completamente in presenza nelle zone gialle e arancione”. E sui trasporti aggiunge: “Lo stato ha stanziato 390 milioni per il trasporto pubblico locale, da attuarsi con le regioni, una parte deve essere ancora spesa. Sentiremo le iniziative che le Regioni dovranno prendere al riguardo“. Parole che colgono di sorpresa i governatori, ma anche gli uffici scolastici e i sindacati. Il ministro Patrizio Bianchi non può che essere d’accordo con il premier, ma anche le sue dichiarazioni sono vaghe rispetto ai nodi sul tavolo: “La volontà del premier Draghi di riportare tutti i ragazzi in presenza a scuola vuole essere un segno importante che pone la scuola prima di tutto. Ed è una indicazione politica, nel senso più alto della parola, che diamo al Paese; i problemi li affronteremo, non siamo ciechi, nè distratti, siamo gente che lavora”. Eppure un piano per consentire davvero la ripresa delle lezioni al 100% in presenza sembra non esserci. Da qui l’accordo in conferenza Stato-regioni di consentire una certa gradualità alle singole scuole, su cui ora si sta consumando l’ennesimo scontro tra Roma e i governatori. A trovare una soluzione dovrebbe essere il “tavolo sul trasporto pubblico locale presso la Conferenza unificata con i ministri Giovannini (Trasporti), Bianchi (Istruzione) e Lamorgese (Interno), anche in vista dell’avvio del nuovo anno scolastico a settembre” annunciato dalla ministra Gelmini. L’effetto de-ja-vu è assicurato.

Cosa succede adesso – Diversi direttori degli Usr, contattati dal Fatto.it, ora sperano in un rinvio, o quantomeno nella flessibilità territoriale. In Piemonte il problema trasporti è tutto da risolvere, perché il piano adottato finora era pensato per una scuola non al 100% in presenza. In Friuli Venezia Giulia Daniela Beltrame non vuole mostrarsi preoccupata, ma spiega: “Per ora il quadro non è certo. Aspettiamo notizie chiare. Ormai siamo abituati all’emergenza”. Ma a meno di una settimana dall’avvio proposto da Draghi nessuno degli Usr sentiti ha un piano pronto su trasporti e scaglionamento. In Emilia Romagna, il vice direttore Bruno Di Palma è laconico: “Abbiamo in corso delle interlocuzioni con gli organi competenti. Non sono in grado di dirle nulla”. Stessa storia in Campania: “Avremo a breve – spiega la dirigente Luisa Franzese – una riunione del tavolo tecnico e vedremo le varie situazioni. Ogni realtà è diversa una dall’altra”. Anche in Umbria è tutto rinviato: “Presto ci incontreremo con la Regione. Avevamo già incrementato la flotta degli autobus – spiega la direttrice Antonella Iunti – ma c’era la disponibilità ad aumentare ulteriormente il numero dei bus. Grandi criticità non ne abbiamo. Finora con la presenza al 50% abbiamo adottato il turno unico ma secondo un accordo siglato in caso di aumento al 75% o oltre si prevedono gli scaglionamenti in due turni, alle otto e alle dieci”. Ad avere un po’ più il quadro definito è Rocco Pinneri, a capo dell’ufficio scolastico regionale Lazio: “Da venerdì scorso stiamo lavorando con le Prefetture e la Regione. Non so ancora quale rimodulazione delle corse sarà messa in campo dalle società di trasporti interessate. Mentre sugli scaglionamenti posso escludere fin da ora i turni su mattina e pomeriggio. L’unica strada percorribile è quella di due scaglionamenti: un ingresso alle 8 e uno alle 10”.