Scienza

Covid, il problema non è il cenone ma il rischio (reale) di vivere una pandemia infinita

Nuovi casi, numero dei tamponi e morti – cioè il bollettino quotidiano della seconda ondata, condito dalle esternazioni serali e seriali dei virologi accasati nei rispettivi salotti televisivi e dalle immancabili dispute politiche con tanto di recriminazioni da parte delle opposizioni e degli amministratori locali nei confronti di qualsiasi iniziativa governativa – è diventato il copione mediatico esclusivo e martellante somministrato all’opinione pubblica.

Quanto più si avvicinano il Natale e il nuovo Dpcm del 3 dicembre, con le misure che dovrebbero rimanere in vigore almeno fino all’Epifania, tanto più il perimetro delle priorità su cui accapigliarsi si sta restringendo al cenone, all’orario della messa, alle piste da sci, alla possibile corsa al “tampone natalizio” – tanto per togliersi il pensiero durante le feste, all’andamento dello shopping con aperture serali per ridurre gli assembramenti.

E verrebbe spontaneo domandarsi perché magari anche per alleggerire gli ingorghi per lo shopping che è l’unica attività consentita non venga in mente a nessuno, fuorché a Sgarbi, di aprire con giudizio le porte di musei e mostre che sono stati gestiti nei mesi della riapertura con scrupoloso rigore sia sotto il profilo del distanziamento che della sanificazione. Con l’indubbio effetto antiansiogeno e antidepressivo dell’arte e della bellezza di cui ci sarebbe disperato bisogno.

Il presidente dell’Istituto di sanità Silvio Brusaferro, commentando gli ultimi dati di questa prima metà di settimana che registrano circa 11.000 casi in meno di quella precedente, ha confermato che la situazione migliora ma che l’incidenza dei contagi rimane ancora alta, che il Natale dipenderà “da quanto calerà la curva” e riguardo alla possibile durata di questa pandemia ha preventivato che il Covid 19 non ci abbandonerà prima di un anno e mezzo.

I tempi con cui avremo a che fare ancora con il Covid 19 si annunciano realisticamente non brevi e l’aspettativa spasmodica per gli effetti risolutivi e definitivi del vaccino si sta rivelando in parte illusoria: sia perché al momento il periodo di difesa dal virus sembra limitato e parziale, sia perché a condizioni invariate o progressive di sfruttamento animale e inquinamento ambientale il rischio di un susseguirsi di epidemie analoghe ma peggiori si sta concretizzando in un orizzonte temporale molto ravvicinato.

All’inizio fu Spillover di David Quammen del 2012, uscito in Italia nel 2014 e riscoperto durante il lockdown, che già allora prevedeva l’irruzione e la diffusione di un virus contagioso e letale causata in primo luogo dall’invasione selvaggia e brutale da parte dell’uomo di aeree del pianeta dove gli animali vivevano indisturbati e dall’esportazione e utilizzo di massa di carne animale. E chi all’insorgere dell’attuale pandemia gli domandava se la sua previsione fosse riferibile al Covid 19, Quammen rispondeva “sì, certo, ma non sarà l’ultima“.

Poi tra le voci consapevoli e autorevoli, ma sempre tenute ai margini della narrazione mediatico-politica, quella di Jared Diamond, divulgatore scientifico e premio Pulitzer, che in un’intervista di aprile su la Lettura del Corriere aveva posto l’alternativa sottostante alla “guerra al virus”: “O la pandemia ci apre gli occhi su quanto avviene tra la specie umana e il resto del pianeta incoraggiando un’azione più rapida ed efficace, o assorbe tutte le nostre preoccupazioni e risospinge la crisi climatica in fondo alle nostre priorità”.

E se non prevale in tempi molto brevi la semplice ma scomoda consapevolezza che “il virus non è l’unico problema del pianeta ma il più evidente” ed è solo la punta dell’iceberg di un male profondo causato da noi e ai limiti dell’irreversibilità, succederà semplicemente che “l’anno che verrà sarà peggiore di questo e il successivo peggiore del prossimo” come ha detto, sereno pacatoque animo, Leonardo Caffo nell’intervista sul Fatto del 30 novembre.

Non occorre essere un filosofo pessimista o catastrofista come viene definito Caffo, e ben vengano i cosiddetti apocalittici visto dove ci hanno condotto gli integrati (spesso anche un po’ paraculi) per rendersi conto che abbiamo raggiunto “l’effetto soglia”.

Quello che si prospetta – come annunciato anche da Michel Osterholm nel team di epidemiologi costituito da Joe Biden per contrastare il Covid – è che l’epidemia che seguirà quella attuale sarà ancora peggiore e le maggiori riviste scientifiche in sintonia con i rapporti della Nasa e dell’Onu sostengono che sono attivi decine di virus la cui capacità letale è del tutto o parzialmente sconosciuta. Cambiamenti climatici progressivi, guerre per l’acqua ampiamente annunciate, acqua e aria inquinate che favoriscono la diffusione dei virus, distruzione e consumo di enormi ricchezze ambientali per gli allevamenti intensivi, consumo di carne per circa otto miliardi di uomini che finirà per distruggere un ecosistema già in pericolo; ecco il cumulo dei fattori che nell’arco di un decennio ci porteranno alla “regressione progressiva e disordinata” delineata chiaramente e lucidamente da Leonardo Caffo.

Un quadro tutt’altro che confortante e che vorremmo rimuovere dal nostro orizzonte molto prossimo che contempla il panettone e il cenone, nell’illusoria convinzione dell’immutabilità del nostro stile di vita e che il domani dovrà essere per forza migliore del presente.

Solo se supereremo la nostra “disabilità ad immaginare quello che verrà” e da consumatori responsabili – con il nostro comportamento, prima ancora che con il nostro voto – orienteremo i nostri governanti a “dichiarare guerra” alle energie inquinanti e al consumo massivo di carne, per citare solo due priorità, avremo qualche chance di non essere destinati ad una vita alle prese con mascherine, tamponi, vaccini e, peggio ancora, a rischio di libertà limitata per un tempo indeterminato. Ma domani sarà già tardi e non ci sarà nessun prodigio scientifico a garantirci un prossimo futuro sicuro e felice.