Cronaca

Sea Watch, l’Italia ha seguito l’esempio di Malta. E ha centrato l’obiettivo

La crisi dei 47, sbloccata così in fretta (si fa per dire), non prometteva a monte nulla di buono. Se quella precedente era durata quasi un mese, si vedeva lontano un miglio (nautico) che l’improvvisa generosità dei Paesi europei poteva nascondere un’imboscata. E mentre l’imbarcazione navigava verso Catania, mezzo governo già si sfregava le mani pensando a quanto provvidenziale fosse quest’ennesima tensione internazionale.

In un momento difficile per l’esecutivo, dare una sberla all’Europa, maltrattare l’Olanda – che molti a sud associano a egoismo, Europa dei ricchi e Jeroen Dijsselbloem -, alimentare l’odio del web contro i migranti e la sinistra (le Ong sono viste come un braccio armato del Pd, dei centri sociali e della Chiesa) tutto in una sola volta, con altissima resa e al costo di qualche status su Facebook, beh: non capita ogni giorno.

Per agguantare il trofeo da esibire, Matteo Salvini e Danilo Toninelli non hanno dovuto fare altro che attendere e poi seguire l’esempio di Malta: lo scorso anno il governo Muscat trattenne (guai a dire “sequestrò”) l’imbarcazione per mesi. Senza alcun motivo apparente. Quando contattai la portavoce della Ong per capire cosa stesse accadendo, la risposta fu abbastanza telegrafica: abbiamo tutto in regola, tutto. Aspetto tecnico, equipaggio, revisioni all’imbarcazione, non c’è una sola voce che possa destare preoccupazione. Eppure non ci fanno ripartire.

Ma gli italiani non sono i maltesi: noi siamo più creativi. Abbiamo una burocrazia che si presta bene ad attorcigliarsi tanto stretta intorno alla vittima di turno da non farla più respirare. Abbiamo competenze frantumate in rivoli di sottocompetenze, labirinti di regolamenti risalenti al paleozoico che all’occorrenza si mostrano utilissimi. E poi abbiamo una politica esperta nella costruzione creativa della logica.

Danilo Toninelli, in questo, si è mostrato un fenomeno: “La nostra Guardia Costiera ha effettuato il fermo amministrativo della SeaWatch3 per violazioni delle norme in materia di sicurezza della navigazione e di tutela dell’ambiente marino”. Ma che coincidenza: nessuno aveva rilevato mai queste violazioni in passato, eppure proprio quando il ministro vuole mettere uno stop alle Ong del Mediterraneo, la sorte fa emergere queste presunte violazioni. E chissà quante altre nascoste potranno scovarne gli ispettori. Un po’ come l’agente indispettito dall’automobilista con la lingua lunga: se necessario, e in assenza d’altro, si troverà sempre la lampadina di una freccia fulminata.

Dal tecnico al politico, in Italia, la strada è breve. Anzi, il tecnico è politico, quando serve: “Stiamo parlando di un’imbarcazione registrata come pleasure yacht che non è in regola per compiere azioni di recupero dei migranti in mare. E mi pare ovvio, visto che è sostanzialmente uno yacht. In Italia questo non è permesso”. Per il diritto del mare non esiste una classificazione ad hoc per i mezzi di salvataggio (pleasure yacht, poi, è mezzo da diporto e nulla c’entra il termine con l’evocazione di pacchie o vacanze): in ogni caso, se c’è un’emergenza, per intervenire vanno bene tanto un materassino quanto lo yacht di Flavio Briatore.

“Se tu, milionario, compri uno yacht, vai in navigazione per piacere, non per sostituirti alla Guardia Costiera libica o di altri Paesi”. Il ministro si è un po’ lost in translation, ma ciò su cui non dovrebbe smarrirsi è che salvare vite in mare rimane obbligatorio tanto moralmente quanto giuridicamente. Salvare e portare naufraghi in salvo. E non c’è legge italiana corrente o futura che potrà mai derogare a questo obbligo.